Questa settimana in RoundUp: Paper, l'applicazione di Facebook che vuole fare del social network una specie di magazine (con tanto di news editor), Ezra Klein passa a Vox Media per lanciare un nuovo sito d'informazione, e il mercato dei media digitali si affolla sempre di più.
Facebook vuole davvero diventare il tuo giornale
La novità della settimana arriva da Facebook, che ha annunciato il lancio, previsto per il 3 febbraio negli USA (e solo per iPhone), della news app Paper. Di Paper si è parlato per settimane come di una applicazione indipendente nella quale il feed delle notizie avrebbe avuto un’impostazione grafica sullo stile di applicazioni come Flipboard, “magazine” digitali capaci di aggregare contenuti da varie fonti. Da giovedì è ufficiale: Paper farà tutto questo, assemblando meccanicamente semplici status degli utenti, contenuti condivisi dai news brand e dai media partner categorizzandoli per argomenti, ma caratterizzandosi per una forte sfumatura editoriale: come riportato da Mike Isaac su Re/Code, Facebook sarebbe alla ricerca di news editor per costruire «un piccolo staff» (non è dato sapere precisamente di quante unità) per orientare la scelta dei contenuti in modo manuale, basando la riproposizione ‘in pagina’ dei post sulla scelta tutta umana dei futuri redattori. In buona sostanza, una specie di giornale online sfogliabile con contenuti altrui e relazioni social.
Che Facebook avesse intenzione di “farsi giornale” è aspirazione di cui avevamo già parlato, e che cova nella mente del Vice President of Product Chris Cox dal 2009. L’app, sviluppata dal Creative Lab della società di Palo Alto, va ad arricchire la già affollata offerta di applicazioni del genere, che solo la scorsa settimana ha conosciuto l’ingresso di Trove e che ha salutato da poco i 50 milioni di rifinanziamento di Flipboard - per ora app leader nel settore con circa 100 milioni di utenti. Non saranno comunque numero di user e dollari a disposizione a spaventare Facebook: che il social network sia diventato essenziale (forse eccessivamente) per testate e giornalisti è tesi ormai accertata - basta calcolare il peso del traffico proveniente dal social network verso la maggior parte dei siti di news rispetto a quello degli altri referral. D’altra parte - rammenta Steve Kovach su Business Insider - un progetto così ambizioso e ancora da ‘provare su strada’ può diventare il futuro di creazione, lettura e distribuzione dei media content, così come può incontrare lo stesso brucante fallimento che la rete ha saputo riservare a Google col progetto Current.
Ezra Klein e il futuro del mercato editoriale
L’ibridazione fra contenuti nati per la rete - e in particolare per il mobile - e le news sono al centro di un enorme processo evolutivo, che assieme all’alterazione degli standard (e delle figure) redazionali, sta portando alla creazione di un nuovo ecosistema di prodotti, personalità e mercati. Questa settimana è anche quella del caso di Ezra Klein, l’ex blogger del Washington Post (di cui vi avevamo parlato a inizio 2014) che ha lasciato la testata di Jeff Bezos dopo essersi visto rifiutare dalla proprietà la proposta di un sito collaterale da finanziare lautamente. Klein, 29 anni e portatore di qualche milione di visite sul suo vecchio WonkBlog, ha annunciato in questi giorni l’ingresso nel gruppo Vox Media, che sembra avere l’intenzione lanciare un nuovo sito di informazione assieme agli altri ex WP Melissa Bell e Dylan Mathews, e a Matt Yglesias di Slate. Nel suo annuncio su The Verge c’è buona parte del ‘programma di governo’ di Klein: pensare prodotti per la rete, e a come il giornalismo debba funzionare su Internet come professionalità native, e non alla sua semplice declinazione online. The Verge, prodotto di punta del gruppo assieme a SB Nation e Polygon, ha visto crescere dal suo lancio (nel 2011) i suoi visitatori unici di 10 milioni al mese.
L’addio di Klein al Post è stato il primo dei temi che ha aperto il 2014, a coronamento di un trend generale salutato con favore da chi ha visto in un mercato così aperto e competitivo - e nella scelta del giovane reporter - una mossa azzeccata, o quanto meno esemplare. Le critiche comunque non mancano: Jack Shafer su Reuters.com ammonisce Klein e chiunque intenda investire ciecamente nel settore, elencando le tre principali problematiche del mercato editoriale online:
1. La mancanza di regole per l’ingresso di nuovi attori;
2. Il costo dell’ingresso stesso nel mercato, destinato a crollare al crescere dell’offerta;
3. La possibilità per chiunque di poter fare concorrenza a chiunque altro, senza troppe riverenze né grosse eredità da gestire.
In sostanza, Shafer avverte Klein: in un mercato del genere chi collabora con lui potrebbe ripagarlo con la sua stessa moneta (ossia salutando chi l’ha fatto crescere in nome di un «Any Ezra that Ezra discovers will likely pull an Ezra on him», sintetizza il giornalista). Critiche anche da Trevor Butterworth su The Awl, che ripercorre la storia dell’enfasi creata dalla stampa americana (Krugman compreso, che si lascia scappare un “Idioti!” e un gioco di parole per il WP - «is De-Kleining») attorno al personaggio e agli altri “ragazzi prodigio” del giornalismo online. L’autore si aspetta di conoscere il vero valore del «wunderkind» di Wonkblog senza il Washington Post: essendo costretto a cavarsela praticamente da solo, sarà curioso capire se si tratterà di «Übermensch o kaput».
L’eccesso d’offerta e la «bolla» delle testate online
Foto via Flickr
Di certo l’offerta di contenuti informativi (o pseudo-tali) è enormemente cresciuta: solo negli ultimi mesi - ricorda William Launder sul Wall Street Journal - oltre al caso di Klein sono state lanciate (o ne è stato annunciato il lancio) decine di online news company, così come piattaforme più datate, che sono riuscite ad affermarsi solo negli ultimi tempi, sono diventate realtà da battere e imitare (Buzzfeed, Gawker). «Il mercato sta diventando molto popolato» spiega l’Internet analyst Neil Doshi, e in scenari economici simili - rammenta Launder - i ricavi derivanti dalla pubblicità non possono che scendere, considerando l’eccesso d’offerta e di spazi sui quali pubblicare le inserzioni. Secondo l’articolo, il prezzo dei banner pubblicitari sarebbe sceso dal 30 al 40% nell’arco di pochi anni, il che giustificherebbe la continua ricerca di nuovi standard pubblicitari da vendere agli inserzionisti - e tra questi uno degli esempi indicati è quello Vice Media, che stando a fonti interne alla società si aspetta di generare profitti tra il 25 e il 30% nel 2014, con entrate pari ai 500 milioni di dollari.
David Carr sul New York Times, annunciando il passaggio di Klein a Vox Media, fa suo il ragionamento di Launder, arricchendolo: le barriere all’ingresso di questo mercato saranno sì basse, ma il concetto di qualità resta pur sempre un ostacolo sul lungo periodo, commisurato alla capacità di una struttura editoriale di adattarsi continuamente. Gawker, continua Carr, ha più di dodici anni, Buzzfeed quasi otto, sette AllThingsD, dal quale è nato l’attuale Re/Code. Lo stesso Vice, che Carr cita in un altro articolo, nasce nel ’94 come freepress canadese, e si trova ora al centro della contesa (21st Century Fox ne ha rilevato il 5%) e delle attenzioni dell’intero mondo editoriale. In tempi di progresso tecnologico continuo - e talmente invasivo nel settore mediatico - i capitali investiti in questo mercato si spostano quotidianamente, fino a paventare il rischio di quella che il critico dei media definisce una «bolla», un continuo agitarsi di novità commericiali e editoriali nel quale è possibile scorgere - sebbene confusamente - il vero futuro delle news, della loro distribuzione della loro sostenibilità produttiva ed economica.