Questa settimana in RoundUp: Ezra Klein e Nate Silver stanno per lanciare i loro nuovi progetti tra lodi e critiche - come quella di Emily Bell, che sul Guardian sottolinea quanto questa rivoluzione tutta digitale sia capeggiata principalmente da uomini. L'obiettivo è "spiegare" le notizie, servizio essenziale nell'eccesso d'offerta e nel disordine, in una rete che da qui al 2025 - nelle previsioni del Pew Research Center - diventerà sempre più caotica.
Vox.com e il giornalismo che spiega le cose
Nel mondo dei media digitali è stata la settimana di Vox.com, la creatura di Vox Media per la quale Ezra Klein - definito da più parti l’astro nascente del giornalismo digitale - ha lasciato il suo WonkBlog sul Washington Post. Inizialmente denominato Project X, Vox.com si affiancherà a TheVerge, Polygon e gli altri portali del gruppo avvalendosi del lavoro di alcuni membri del vecchio staff di Klein al Post e di Matt Yglesias di Slate. L’obiettivo del sito sarà inserirsi nell’affollato mercato editoriale online offrendo contenuti in grado di mettere ordine nelle notizie e spiegarle in modo comprensibile. «Titoli come “Colpi sparati in aria in un raid in una base navale in Crimea” non significa nulla per i lettori se non conoscono un po’ della situazione fra Russia e Ucraina, o dove si trova la Crimea», commenta per esempio David Holmes su Pando. Klein la spiega con una metafora: l’obiettivo di Vox è rendere la «verdura» più appetibile e servirla in un piatto bello e pieno di gusto - traducendo la metafora alimentare: decifrare le hard news e rendere commestibile quel tipo di notizie che bisognerebbe leggere per mantenere una sana dieta mediatica. È una buona cosa, continua Holmes: «If you increase people’s understanding of important news stories, you ideally increase their demand for them».
È il sistema dei cosiddetti explainer, un espediente non nuovo nel giornalismo (qui analizzato da Mathew Ingram) che rischia di non bastare per lettori e testata - avverte Laura Hazard Owen su Gigaom - ma che può avere il grande vantaggio di «spostare il lettore dalla curiosità alla comprensione». In «Explainer Journalism Explained» James Hamblin su The Awl non manca di commentare sarcasticamente la presentazione del nuovo progetto di Klein col sistema delle FAQ, le domande che caratterizzano anche il post di lancio di Vox: spiegare le cose in modo comprensibile dovrebbe già essere una delle missioni del giornalismo, commenta Hamblin, ma il rischio è che la riduzione sistematica della verdura a "biscotto” porti a non distinguere più tra le due cose («ricordi quando tua madre ti diceva che non potevi mangiare biscotti tutto il giorno? Beh ora sei grande, e diciamo che puoi mangiarne quanto vuoi») e a fare di temi seri delle semplici bandiere da condividere sui social network per evidenziare la propria compassione, la propria «profondità intellettuale».
Una rivoluzione senza donne
Come già visto, la tendenza alla personalizzazione dell’impresa giornalistica, ridotta a firma-brand da capitalizzare al massimo, ha trovato spinta nel caso di Klein e in quello di Nate Silver. Esperto di statistica e stella di ciò che è stato definito giornalismo “predittivo”, Nate Silver aveva infatti lasciato il New York Times (che si sta già attrezzando, così come il WP) per ESPN, portale sportivo per il quale - come da annuncio al SXSW di Austin - aprirà proprio il prossimo 17 marzo il suo nuovo FiveThirtyEight (qui su Time cerca di spiegare di cosa si tratterà). Sono solo alcuni dei segni di un certo fermento attorno all’industria dell’informazione online, una dinamica che sta cominciando ad attrarre seriamente gli investimenti dei venture capitalist mai completamente persuasi dal mercato dell’editoria. Adrienne La France su Quartz non fa a meno di notare quanto si sia ricominciato a parlare di assunzioni in un settore dato ormai per morto e nel quale gli esempi virtuosi non mancano: tutti fenomeni che avvicinano sempre più i grossi capitali industriali in operazioni milionarie tra le quali quelle di Omidyar e Bezos (CEO di eBay e Amazon) sono solo i più noti esempi. Investimenti arrivano anche per Pando, NowThisNews, Upworthy, Business Insider, Circa, BuzzFeed: se è vero che si rischia di scommettere in un settore in cui nulla resta mai immutato e nel quale non è dato sapere quale nuova trovata digitale stravolgerà completamente l’intero ecosistema, secondo Peretti di BuzzFeed si sta perlomeno dimostrando al mercato che si può creare da zero, innovare e attrarre investimenti, sperimentare più di un modello di business nella certezza di trovarne finalmente uno valido.
Sia il progetto di Ezra Klein che quello di Nate Silver appaiono come chiari esempi di quanto la rete sia diventata una straordinaria opportunità per riscrivere le regole della professione e rilanciarla in tutti i sensi. Una rivoluzione che secondo Emily Bell sul Guardian non può però dirsi compiuta finché viene capeggiata e promossa principalmente da uomini (uomini bianchi, in particolare). In un post che ha destato non poche reazioni, specie su Twitter, Bell ricorda i rari casi in cui questa dinamica è stata invertita a favore delle donne (Kara Swisher di ReCode, ovviamente Arianna Huffington e pochi altri) citando poi i più recenti casi negativi: persino a First Look Media - spiega - Laura Poitras sarà tra le poche giornaliste donna in una redazione formata dai vari John Cook (appena annunciato), Matt Taibbi e Glenn Greenwald, e così anche per tutti i newcomer (Vice, Quartz, BuzzFeed, lo stesso Vox, Politico, Grantland). È probabile, continua l’autrice, che puntare sul fattore “personal brand” per una donna (o su quello di una donna) sia più difficile per alcuni, ma in qualche modo il tanto celebrato nuovo corso appare troppo simile al vecchio in fatto di rappresentanza di genere, nient’altro che «un repackaging dello status quo», sebbene apparentemente più smart e scintillante.
Il giornalismo del futuro a caccia di occhi
Lo spazio c’è, se è vero che - come già accennato - il mercato in alcune limitate aree del mondo si può definire quanto meno “dinamico”, e che l’offerta appare già abbastanza ampia. La richiesta di news e fonti continua a crescere, come testimoniato dalla ricerca di Crowdtap che parla di una media di quasi 18 ore al giorno di tempo trascorso sui media per individui d’età compresa tra 18 e 36 anni. Si tratta principalmente di social network e strumenti di comunicazione interpersonale, ma la domanda di notizie appare evidente, malgrado l’interesse - e la seguente apertura del link - non garantiscano comunque la lettura degli articoli. Questa settimana Tony Haile di Chartbeat (servizio che permette di conoscere e analizzare i dati d’accesso sui siti che collabora con alcune delle maggiori testate mondiali) è ritornato sul tema dell’attenzione su Time Magazine, sottolineando alcuni dati: il tempo medio di permanenza su un sito per il 55% dei visitatori sarebbe inferiore ai 15 secondi, con dati addirittura peggiori se si parla di native advertising (per molti tra i modelli di business essenziali alla sopravvivenza della propria testata): la sfida è conquistare pubblico interessato e disposto a tornare, costruire una platea fedele e offrire un sito che sappia accoglierli senza dissipare la loro preziosissima attenzione.
Che futuro, quindi, per un giornalismo a caccia di occhi? Il fondatore di Prismatic Bradford Cross cerca di farsi quattro domande su Gigaom, ma più in generale un report di questa settimana del Pew Research Center immagina - nelle testimonianze di vari autori (anonimi e non) - come potrebbe essere la vita digitale nel 2025. In un susseguirsi di scenari più o meno scettici (qui una sintesi) c’è spazio per qualche considerazione più strettamente giornalistica: Internet darà sempre più velocità alle notizie e alle comunicazioni, ingrandirà comunità già esistenti e faciliterà la formazione di nuove, fornirà sempre più fonti con sistemi innovativi a un numero crescente di lettori fino a inondarli inevitabilmente di informazioni verificate e bufale, senza distinzioni. Il ruolo del giornalismo sarà essenziale nel ricreare ordine e senso, educare. È uno scenario ancora ignoto, del quale riusciamo ancora a scorgere solo i contorni, conclude Jeff Jarvis: siamo nel 1472, negli anni in cui visse e operò Gutenberg, e non sappiamo ancora se, quando e quale Martin Lutero busserà alla nostra porta.