Storia, tecniche, esperienze e limiti deontologici della professione, questi i temi toccati durante il workshop svoltosi nella “Sala delle Colonne” alla presenza di Carlo Bonini (“La Repubblica”), Lirio Abate ed Emanuele Fittipaldi (“L’Espresso”).
“Tecnica che svela l’ignoto all’opinione pubblica”, così esordisce il giornalista Bonini, poi continua “molti sostengono che il giornalismo d’inchiesta sia l’unico giornalismo possibile, io non sono di questo parere. Questo giornalismo è più faticoso ricorda di più e meglio la funzione del giornalismo”.
Continua il suo intervento ripercorrendo brevemente la nascita del genere giornalistico, partendo dalla prima metà del ‘900 con la nascita della categoria sancita dall’attribuzione del premio Pulitzer, giunge agli anni ’70 e al concetto di contro-informazione e ricostruzione alternativa.
“In Italia le inchieste sono una libera tollerata iniziativa con due precise caratteristiche: sono costose in termini di tempo e risorse e non danno certezze del risultato” conclude Bonini.
È l’originalità l’aspetto forte dell’inchiesta che si avvale dell’utilizzo e della connessione di fonti aperte e fonti chiuse. Con le fonti chiuse il giornalista ha un rapporto fiduciario ed esclusivo, ma è grazie alle fonti fonti aperte che è possibile connettere le informazioni. Più e complesso lo scenario e maggiore è il numero delle fonti. Ogni fonte va verificata perché sia ritenuta attendibile, “le fonti chiuse si conquistano facendo il mestiere per strada” continua il giornalista de La Repubblica “un giornalista è la sua agenda telefonica”.
Bonini sottolinea l’importanza di mantenere segreta una fonte, avvalendosi dell’articolo di procedura penale secondo cui è costretto a rivelare la fonte solo quando questa è autore di reato.
“Il giornalista scrive per raccontare” segue Lirio Abbate spiegando come l’indagine giornalistica investigativa si muova a 360° a dispetto di quella della polizia giudiziaria che invece sono interessate solo all’aspetto penale. “Un fatto è moralmente rilevante ma può non essere giuridicamente rilevante, così da non avere i presupposti per avviare un indagine” continua Abate, il quale spiega ancora come le citazioni civili mirino ad intimidire il giornalista, che riesce a superarle grazie all’attendibilità e alla veridicità delle fonti raccolte.
Il giornalista de L’Espresso ha asserito che il disegno di legge sulle intercettazioni è solo un modo per proteggere una categoria di persone che non sempre ha agito nella legalità, persone che siedono su poltrone importanti. Ha continuato il dibattito Emanuele Fittipaldi inchiestista de L’Espresso, “il giornalismo d’inchiesta è un altro mestiere, non si impara nelle scuole ma per strada _continua_ quando fai un’inchiesta possono passare mesi prima che porti a casa il risultato. Molti quotidiani non fanno inchiesta, spesso non ci sono squadre investigative ci sono principalmente Dossier partoriti in due giorni che non hanno nulla a che fare con l’inchiesta. In Italia sono poche le testate che si occupano di giornalismo investigativo”.
Fittipaldi osserva che l’inchiesta può nascere da un’intuizione del giornalista, dall’impulso di una fonte e dalla richiesta del caporedattore. Racconta della sua esperienza a Il Mattino, di come le dichiarazioni del pentito Vassallo su Nicola Cosentino l’abbiano incuriosito tanto da aver approfondito la figura del leader campano del PdL passando così da cronaca giudiziaria a investigazione. Racconta ancora dell’indagine condotta sull’operato di Brunetta, i suoi titoli, gli immobile, il suo passato e le sue pretese attuali.
Una lezione magistrale che palesa come il giornalismo investigativo sia un genere che vada oltre le classiche cinque W a tutela della democrazia.
Anna Grazia Concilio
Carmela Termopoli