Documentario su Federico Aldrovandi di Filippo Vendemmiati
Il documentario su Federico Aldrovandi, diretto da Filippo Vendemmiati, premiato con il David di Donatello, è stato proiettato questa mattina al Teatro Pavone, durante la seconda giornata del Festival del Giornalismo.
In un’ora e mezza Vendemmiati racconta la vicenda di Federico che una notte incontrò la polizia; ma racconta anche la sua morte, che quella proprio quella notte “aveva una divisa blu” e non era vestita di nero, che non aveva la falce, ma dei manganelli. È la storia di un ragazzo diciottenne, che non ha avuto la possibilità di crescere; di una famiglia che ha perso un figlio; delle Istituzioni che ne escono con le ossa rotte, traditrici in primis di se stesse e poi dei cittadini. Di una città silenziosa, Ferrara e dei suoi abitanti, silenziosi anch’essi. E di un silenzio che è stato rotto da una signora semplice, extracomunitaria che, dalla propria finestra, vide quel che accadde nella notte tra il 24 e 25 settembre 2005, in via Ippodromo, ed ebbe il coraggio di raccontarlo.
La narrazione video, arricchita da materiali inediti forniti dalla famiglia e dai legali, dagli atti processuali e filmati RAI, tenta di porre soluzioni agli interrogativi che ancora oggi, nonostante cinque anni di processo e le condanne in primo grado, ancora esistono: cosa accadde davvero quella notte tra quattro agenti di polizia – tre uomini ed una donna – e un semplice ragazzo? Perché è morto Federico?.
Uno scontro tra la coscienza – a volte sopita – della società civile e le forze dell’ordine che si traduce in dibattimenti in aula, durati cinque anni.
Le testimonianze dei genitori e degli amici, che hanno partecipato attivamente alla costruzione di quest’opera, sono legate ad immagini del processo, alle foto, alle registrazioni audio e video, in un excursus processuale e di vita che va dal 2005 al 2010, anno in cui si è la sentenza di primo grado è stata la condanna dei quattro agenti imputati.
Ma di dubbi ne restano, e tanti, dopo la fine del documentario. E sono quelli che lo stesso Vendemmiati ha esposto dopo la proiezione: sapere che i quattro agenti, seppur condannati, ancora esercitano il proprio mestiere, fa riflettere. Com’è possibile che questo avvenga? Probabilmente, sono persone inadatte a far questo mestiere, eppure sono ancora lì al proprio posto.
Com’è possibile che vi siano delle cause in corso per diffamazione nei confronti dei familiari e degli amici di Federico?
E soprattutto com’è possibile che questo documentario, dove familiari ed amici dicono le medesime cose, sia premiato e riceva consensi mentre gli stessi familiari ed amici dovranno risponderne in un’aula giudiziaria? I pensieri sono gli stessi, cambia solo il contesto. È il contrasto della nostra società, la realtà dei fatti, del Paese in cui viviamo. Che per fortuna, è anche fatto da persone che credono che sia necessario “tenere la luce accesa”, raccontando, parlando, scrivendo come ha fatto l’autore, e come hanno fatto tutti coloro che hanno gridato la propria voglia di verità.
Eliana Ciappina