Giornalismo investigativo

Come si costruisce un’inchiesta giornalistica? Se ne è discusso oggi pomeriggio nel workshop "Giornalismo investigativo, dall'affare Sifar al bunga bunga" con Lirio Abbate, Emanuele Fittipaldi e Carlo Bonino.

Un incontro dal titolo provocatorio, perché il giornalismo è lo specchio di un Paese e in questo momento l'inchiesta passa per le inchieste giudiziarie e il gossip. Per questo i tre giornalisti hanno fissato alcuni punti fermi necessari per costruire una buona inchiesta, passando poi in rassegna i passaggi di alcuni loro lavori d’indagine.

Bonini parte dall’esempio di Scalfari e Iannuzzi che, nel 1967, fecero l’inchiesta sulle deviazioni del Sifar, per sottolineare la capacità ricostruire, attraverso fonti diverse, testimonianze e documenti, un fatto, un evento. Nel caso Sifar era un piano che doveva accompagnare un colpo di Stato con il ruolo decisivo dell’arma dei carabinieri. Quarant’anni dopo, sottolinea Bonini,  “le pagine giudiziarie sono piene di cronache sul potere che svelano però una pigrizia oltre che una vigliaccheria. Perché riprendere un magistrato e la sua inchiesta giudiziaria è comunque una vigliaccheria che scarica buona parte della responsabilità su chi fa inchieste. La fonte primaria diventa il pubblico ministero, il magistrato o chi per lui. Togliendo la responsabilità di ricerca dei fatti e delle verità a chi fa il mestiere giornalistico”. Il pericolo è che “nel momento in cui il giornalismo diventerà solo un’attività di “riporto”, e questo si avvicinerà troppo alla comunicazione, in quel momento sarà vicina la morte del giornalismo”.

Tra i punti fermi che si devono tenere presente per fare un buon lavoro Bonini individua l’istinto, l’induzione – abduzione e la deduzione. Ma è soprattutto la capacità di capire se una inchiesta può andare a buon fine o se non ha futuro. Oltre a buone fonti, aperte e chiuse.

Come spiega Fittipaldi nel suo esempio, che gli ha permesso di dimostrare che Renata Polverini era abusivamente in affitto in una casa popolare nel quartiere San Saba di Roma, queste inchieste spesso nascono per caso. Grazie a segnalazioni di fonti affidabili. A quel punto sta al giornalista verificare l’attendibilità di una soffiata, fare tutti gli accertamenti del caso e battere una determinata pista piuttosto che un’altra. Fittipaldi spiega di aver usato documenti anagrafici e catastali, testimonianze dirette e ricerche online, e di aver fatto più volte verifiche e controverifiche, “per essere sicuro al 100 per cento”. E così il lavoro è andato a buon fine perché il giornalista de l’Espresso è riuscito a dimostrare che la Polverini pagava un affitto di 280 euro mensili, pur essendo facoltosa e avendo svariate proprietà immobiliari.

Anche Lirio Abbate racconta alcune sue ricerche, nate da punti di partenza diversi. In un’inchiesta su Angelino Alfano, spiega Abbate, l’Espresso ha cercato di capire chi fosse questo giovane politico in forte ascesa alla corte di Berlusconi. Questo attraverso un lavoro investigativo con molte fonti chiuse che ha permesso di scoprire che Alfano frequentava, nel 2005, Massimo Ciancimino, e questo prima che Ciancimino diventasse collaboratore di giustizia. Nulla di penalmente rilevante, ma pur sempre una notizia, essendo Massimo il figlio dell’ex sindaco di Palermo condannato per mafia, don Vito Ciancimino.

Diverso il caso di Saverio Romano. Dell’attuale ministro dell’Agricoltura, invece, Lirio Abbate spiega di essersi occupato nel 2002, quando in Parlamento venne approvata una legge che rafforzava e stabilizzava il 41-bis, quella sul carcere duro. Romano fu uno dei pochi a non votare questo provvedimento: è bastato andare sul sito della Camera per visualizzare il profilo e l’attività del parlamentare.

A quel punto il resto è venuto da se: la scoperta di affari fatti da Romano sotto copertura, situazioni in cui lui è sempre vicino a dei mafiosi. Cosa che emerge anche da intercettazioni riguardanti sulla mafia: ne parlano alcuni collaboratori di giustizia, intercettazioni di boss che ne parlano, e si scopre che è uno che con qualcuno di cosa nostra si da anche del tu. E’ a quel punto che su Romano si è fatto un lavoro solo di fonti chiuse. Perché parallelamente a quello che faceva sul territorio (incontri con vescovi etc), poi si sono aperti i processi. Saverio Romano è infatti accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e imputato per corruzione.

L’amara constatazione comune dei tre giornalisti è che, nell’Italia contemporanea, queste inchieste, per quanto basate su fatti dimostrati che spesso svelano abusi (quando non reati), non suscitano una reazione livello di opinione pubblica, e men che meno sortiscono un effetto sulla politica, “che se ne frega”.

Alessandro Ingegno