È possibile produrre un’inchiesta di qualità dalla collaborazione tra una comunità di utenti e giornalisti qualificati? Qual è il metodo più efficace per riuscirci? Questo il tema al centro del panel Giornalismo investigativo e crowdsourcing svoltosi presso la sala dei Notari e in cui sono intervenuti Paul Lewis, giornalista al The Guardian, Reporter of the year in Gran Bretagna nel 2010 oltre che vincitore l’anno prima del Bevins Prize per il lavoro d’inchiesta svolto riguardo la morte del venditore di giornali Ian Tomlinson durante gli scontri al G20 di Londra, Federica Cocco, giornalista freelance, Francesco Piccinini, Caltagirone Editore Digital, attualmente giornalista presso la redazione web de Il Messaggero e Francesco Raiola, direttore di AgoraVox Italia nel ruolo di moderatore della discussione.
Viviamo in un mondo ormai caratterizzato da un imponente sviluppo dei social network. Il giornalismo investigativo ha saputo cogliere al volo tale situazione trasformandola in un’opportunità notevole. In relazione ai social network, tra cui Twitter, piattaforma social ormai indispensabile nel lavoro d’indagine, il giornalismo investigativo diventa completamente open.
A tale proposito, Paul Lewis ha spiegato che “la situazione di crisi in cui versano numerosi giornali da un lato è abbastanza deprimente, dall’altra, invece, è un mezzo attraverso il quale aprire nuove prospettive interessanti”. “Si pensa spesso al giornalismo investigativo come a qualcosa di entusiasmante e a volte anche un po’ segreto – ha continuato Lewis -. Per tanti anni si è cercato di mantenere dei segreti e di condividerli al massimo solo con le fonti confidenziali. A tutto questo si aggiunge ora un approccio più aperto che, coinvolgendo il pubblico degli utenti, vede il giornalismo anche come un dovere civico”.
Federica Cocco ha, invece, illustrato i sistemi attraverso i quali entrare in contatto con la comunità di utenti e raccogliere i dati. In particolare, negli ultimi anni si è avuto il passaggio dal sistema noto come Network analysis a quello conosciuto come Influence networks, un’applicazione in cui ogni utente iscritto può inserire informazioni ciascuna delle quali dotata di un proprio status. L’obiettivo è creare un database di relazioni in modo da poter verificare i collegamenti tra determinati fatti e determinati personaggi. Tutti gli utenti possono apportare il loro contributo aggiungendo relazioni nel database che all’inizio sono classificate come rumor, poi, in base ai voti di effettività degli altri utenti possono raggiungere il livello di “fatto stabilito”.
Il problema che si pone è quello della verificabilità dei dati. Come dare credibilità a questo tipo di citizen journalism? A questa domanda ha risposto Francesco Piccinini evidenziando che: “fare bene il proprio lavoro è il principale metodo per dare credibilità al giornalismo investigativo. Verificare sempre le informazioni e non divulgare subito i dati, piuttosto raccogliere maggiori elementi in modo da avere un quadro più ampio della situazione”. Sempre sulla verificabilità delle fonti, Paul Lewis ha, inoltre, spiegato che è necessario verificare i contatti elettronici cercando di conoscere di persona gli utenti e nel caso in cui questo non sia possibile è fondamentale parlare tramite telefono o richiedere elementi che confermino ad esempio la presenza del soggetto in relazione a un determinato evento o una determinata persona.
Per concludere, una riflessione sul concetto di scoop e soprattutto se, al tempo attuale, ha ancora senso parlarne. A tale proposito, Lewis ha evidenziato che: “tale concetto è ormai superato in quanto lo scoop non serve più per battere la concorrenza. È più importante la collaborazione in ambito social”.
Maria Teresa Lacroce