Volevo diventare Rimbaud e invece mi hanno dato un tesserino

Volevo diventare Rimbaud e invece mi hanno dato un tesserino Prima scrittori e poi giornalisti. Questo il tema caldo al centro dell’incontro di ieri 28 aprile dal titolo Volevo diventare Rimbaud e invece mi hanno dato un tesserino, con Fulvio Abbate, giornalista e fondatore di Teledurruti, e Pietrangelo Buttafuoco, scrittore su Panorama. Un’ora e mezza in cui si è discusso, all’hotel Brufani, del rapporto col giornalismo di entrambi gli ospiti. Un rapporto complicato, soprattutto per Abbate, che non ha evitato di raccontare anche le esperienze più controverse della sua carriera, lanciando anche un attacco a Concita De Gregorio, sua ex direttrice. “Da quel giornale sono stato cacciato, quindi su di lei non mi esprimo, ma il tempo è galantuomo”. Ma c’è stato dell’altro, oltre al racconto delle esperienze e ad un excursus sui fatti di attualità, insieme ai ricordi nostalgici dei vecchi metodi di fare giornalismo. “Se è vero che non ci sono più lettori, per chi si scrive?”, ha chiesto Buttafuoco. “Si scrive – ha risposto Abbate – anche perché ora la più bella scrittura in Italia appartiene al giornalismo. La narrativa è una lingua morta”. Ma di chi è la responsabilità? È ovvio che, in un incontro tra giornalisti che hanno avuto a che fare direttamente, nel caso di Abbate, ex militante del partito comunista, e indirettamente, nel caso di Buttafuoco in qualità di nipote di un ex parlamentare dell’MSI, si sia parlato di politica. “È colpa della sinistra – ha detto Buttafuoco – che invece di creare ambiti di confronto, ha avuto come unica missione quella di conformarsi e conformare. La lingua morta della tv e quella della politica hanno permesso un proliferare di monumenti che hanno imposto il consumismo”. A questo punto è stata d’obbligo la domanda sul passato politico di Abbate: “senti ancora l’essere stato comunista?”. Risposta: “ora le cose sono cambiate, e l’importante è credere molto nel concetto di volontà” sebbene l'artista abbia specificato di non essere individualista. Per entrambi, insomma, in Italia manca il pubblico. Ed è proprio dal pubblico che è intervenuto Federico Mello, giornalista del Fatto Quotidiano che, nell'accennare una domanda sul concetto di conformismo, è stato subito interrotto da Buttafuoco. “Parlo di conformismo perché in Italia c’è gente che crede che Roberto Benigni sappia leggere la Divina Commedia…”. Lunghi applausi, per poi tornare alla domanda di Mello. “C’è un problema di potere stantio in questo conformismo, che di fatto rende i partiti chiusi alle novità?”. “Siamo periferia”, attacca Buttafuoco. Perché l’Italia ai suoi occhi è solo “un posto dove tutto ciò che è parola, è un sollievo per qualche squinternato”. Altra domanda dal pubblico, altra risposta. Sempre Buttafuoco conclude, questa volta rassicurando i lettori: “in Italia c’è un problema di pubblico, ma al Foglio di Giuliano Ferrara – dove ha lavorato – ho avuto assoluta libertà”. E, a detta sua, “è una di quelle cose che non accade in nessun altro giornale”. Teresa Serripierro

Prima scrittori e poi giornalisti. Questo il tema caldo al centro dell’incontro di ieri 28 aprile dal titolo Volevo diventare Rimbaud e invece mi hanno dato un tesserino, con Fulvio Abbate, giornalista e fondatore di Teledurruti, e Pietrangelo Buttafuoco, scrittore su Panorama. Un’ora e mezza in cui si è discusso, all’hotel Brufani, del rapporto col giornalismo di entrambi gli ospiti. Un rapporto complicato, soprattutto per Abbate, che non ha evitato di raccontare anche le esperienze più controverse della sua carriera, lanciando anche un attacco a Concita De Gregorio, sua ex direttrice. “Da quel giornale sono stato cacciato, quindi su di lei non mi esprimo, ma il tempo è galantuomo”. Ma c’è stato dell’altro, oltre al racconto delle esperienze e ad un excursus sui fatti di attualità, insieme ai ricordi nostalgici dei vecchi metodi di fare giornalismo. “Se è vero che non ci sono più lettori, per chi si scrive?”, ha chiesto Buttafuoco. “Si scrive – ha risposto Abbate – anche perché ora la più bella scrittura in Italia appartiene al giornalismo. La narrativa è una lingua morta”. Ma di chi è la responsabilità? È ovvio che, in un incontro tra giornalisti che hanno avuto a che fare direttamente, nel caso di Abbate, ex militante del partito comunista, e indirettamente, nel caso di Buttafuoco in qualità di nipote di un ex parlamentare dell’MSI, si sia parlato di politica. “È colpa della sinistra – ha detto Buttafuoco – che invece di creare ambiti di confronto, ha avuto come unica missione quella di conformarsi e conformare. La lingua morta della tv e quella della politica hanno permesso un proliferare di monumenti che hanno imposto il consumismo”. A questo punto è stata d’obbligo la domanda sul passato politico di Abbate: “senti ancora l’essere stato comunista?”. Risposta: “ora le cose sono cambiate, e l’importante è credere molto nel concetto di volontà” sebbene l'artista abbia specificato di non essere individualista. Per entrambi, insomma, in Italia manca il pubblico. Ed è proprio dal pubblico che è intervenuto Federico Mello, giornalista del Fatto Quotidiano che, nell'accennare una domanda sul concetto di conformismo, è stato subito interrotto da Buttafuoco. “Parlo di conformismo perché in Italia c’è gente che crede che Roberto Benigni sappia leggere la Divina Commedia…”. Lunghi applausi, per poi tornare alla domanda di Mello. “C’è un problema di potere stantio in questo conformismo, che di fatto rende i partiti chiusi alle novità?”. “Siamo periferia”, attacca Buttafuoco. Perché l’Italia ai suoi occhi è solo “un posto dove tutto ciò che è parola, è un sollievo per qualche squinternato”. Altra domanda dal pubblico, altra risposta. Sempre Buttafuoco conclude, questa volta rassicurando i lettori: “in Italia c’è un problema di pubblico, ma a Il Foglio di Giuliano Ferrara – dove ha lavorato – ho avuto assoluta libertà”. E, a detta sua, “è una di quelle cose che non accade in nessun altro giornale”.

Teresa Serripierro