Come da tradizione, dicembre è il mese dei consuntivi per l'anno trascorso e delle prospettive per quello nuovo. E il panorama mediatico non fa ovviamente eccezione, specie se si guarda ai dodici mesi appena passati con la consapevolezza che il 2012 potrebbe essere stato, effettivamente, un anno particolarmente significativo per l'intero scenario editoriale. E così come Twitter, Google, Facebook e molte altre piattaforme costruiscono pagine celebrative dedicate all'anno appena passato, diversi portali di informazione sui media hanno proposto in questi giorni le loro visioni sul meglio - o il peggio - degli ultimi mesi e sugli scenari futuri. Incalzati come sempre dall'attualità, che ne conferma o smentisce le tesi.
E dunque siti come NiemanLab e GigaOm hanno chiesto a loro collaboratori e a esperti del settore uno sguardo sull'anno che si chiude e quello che sta per cominciare. Fornendo, in buona sostanza, quattro categorie d'analisi ben definite: le novità nei media digitali in fatto di ridefinizione delle pagine web e dei loro contenuti, delle piattaforme di consultazione delle news, della pubblicità online e del mercato editoriale.
Ridefinire pagine e servizi online
Secondo il direttore della sezione video del Washington Post Andrew Pergam uno degli aspetti più interessanti del 2012 è stato la ricostruzione - grafica e non solo - della struttura dei portali di informazione: un esempio è quello di HuffPost Live, nella cui home a dominare non sono (solo) i contenuti video, ma soprattutto gli engagement tool. Gli utenti sono infatti incoraggiati a prendere parte alle discussioni via webcam e chat e a seguire le news in tempo reale nella pagina stessa, che integra così il contributo del lettore al contenuto proposto. Siti come UsaToday e Quartz - di recente seguiti da Mashable - possono invece essere considerati gli apripista per un nuovo modello di presentazione dei contenuti sui siti: in questi casi a dominare è il concetto di lettura tablet oriented, presentata attraverso layout disegnati come fossero concepiti per applicazioni da iPad, o comunque pronte ad esser navigate in punta di dita. Quello che viene definito responsive design - e il 2013, secondo Pete Cashmore, sarà decisamente l'anno del responsive design - : il web che in qualche modo cerca di ‘farsi app', guadagnarne la versatilità tecnica ma soprattutto le potenzialità economiche. Un vantaggio che - fa notare Robert Andrews - in futuro è destinato a sparire.
Un esperimento a metà strada tra la ricostruzione di app per il web, coinvolgimento dei lettori, social networking e ridefinizione della proposta dei contenuti online è stato quello messo in campo in questi mesi dal Guardian, che nel novembre scorso ha lanciato una sua social reading app per Facebook arrivando però, in questi giorni, a ritornare sui suoi passi. L'app, integrata all'interno del social network, avrebbe dovuto raggiungere i lettori proprio dove questi si trovano, con una versione rivisitata del proprio giornale (ancora una volta, quindi, la rivoluzione della forma-giornale online) adattata alle esigenze di sito e platea e pensata per una condivisione più facile e immediata dei contenuti. Il progetto, durato quindi poco più di un anno e comunque sposato anche da altre testate internazionali come il Washington Post, ha portato il Guardian a guadagnare fino a sei milioni mensili di utenti, per poi perderne più della metà nell'arco dei dodici mesi dopo che la proprietà di Palo Alto ha deciso di rivedere il funzionamento di queste app all'interno del proprio sito. La testata ha quindi deciso di convogliare partecipazione e visite sui propri siti, come spiegato da Product Manager della testata Anthony Sullivan che ammette di ritenerla comunque un'esperienza importante per un giornale, come quello inglese, ormai lanciato definitivamente verso il modello digital first.
Facebook ha dunque preteso di gestire applicazioni create sulla propria piattaforma da terzi, modificandone il comportamento e rendendo quindi vano ogni tipo di programmazione editoriale esterna. Secondo Anil Dash a cambiare nel 2012 sarebbe proprio stata la rete così com'è stata pensata e utilizzata per anni: la possibilità di poter comunicare ovunque, attraverso mezzi tecnologici e nuovi strumenti altamente competitivi, avrebbe portato questi servizi a diventare economicamente rilevanti e veri e propri concorrenti di mercato, e dunque a privare dell'utente di servizi più completi e flessibili. Uno degli esempi più recenti è quello dello scontro fra Instagram e Twitter, che proprio in questi giorni sta implementando servizi simili a quelli del social media basato sul photoediting. O ancora la difficoltà di caricare i propri contatti da Tumblr, o di scaricare tutti i propri tweet (la cui effettiva proprietà è ancora oggi causa di dibattito). E infine, aggiunge Andrews, il macchinoso processo di trasferimento delle proprie librerie virtuali da servizi come Netflix o Spotify. A corrompere il web, conclude Dash, «is the thinking that exerting extreme control over users is the best way to maximize the profitability and sustainability of their networks».
Ridefinire le piattaforme di consultazione di news
In questo scenario le notizie hanno cominciato a trovare, negli ultimi mesi, nuove piattaforme sulle quali scorrere ed essere consultate: sono stati i giorni degli accordi del New York Times con Flipboard, quelli della nascita - ma anche della morte, come nel caso di The Daily - di diversi progetti editoriali basati su nuovi supporti di lettura. E dell'allargamento degli orizzonti di social media come Twitter, che da semplici mezzi dalle finalità comunicative si sono fatti sempre più hub di aggregazione di informazioni. È per questo che secondo Mathew Ingram nel 2013 il social di San Francisco potrebbe imporsi come nuovo concorrente per le classiche media company: non è infatti una novità che Twitter quest'anno abbia cominciato a controllare, esaltare e monetizzare i contenuti multimediali che su di esso venivano pubblicati, fino a suggellare questo ruolo di news streamer e allo stesso tempo super-fonte tramite accordi specifici con particolari eventi o media player. Questo desiderio, secondo Ingram, potrebbe farsi ancora più intenso nel 2013, dal momento che già da oggi, a quanto pare, si parla di una possibile partnership con la NBC - cosa che evidentemente produrrà effetti rilevanti per l'intero scenario mediatico online.
Eppure un esperimento citato da più parti come uno dei più interessanti del 2012, quanto a piattaforma e ricostruzione delle news 'pezzo per pezzo', è un'idea concepita da chi pensava principalmente a rivoluzionare il mondo dell'informazione, e non a invaderlo dal versante dei social. Si tratta della creatura di Ben Huh Circa (di cui abbiamo già parlato) ed è menzionato dallo stesso Pergam e dalla giornalista Monica Guzman su NiemanLab come una delle più notevoli idee prodotte nei media digitali nel 2012: un'app per iPhone che destruttura la notizia in atomic unit aggregate da una redazione di dodici persone e proposte all'utente, che deciderà poi quale seguire, in un flusso curato di micro-informazioni che scorrono come una timeline di Twitter. Un'idea che esalta la Guzman, che si dice entusiasta all'idea di «essere in grado di seguire storie in via di sviluppo in un nuovo modo», acquisendo informazioni 'parcellizzate' e poi curate da una redazione di redattori professionisti, e che spera che nei prossimi mesi possano nascere altri progetti simili.
E gli esempi sui quali ragionare non mancheranno: il New York Times, per esempio, ha da poco annunciato di voler tentare la strada dell'ebook publishing, che prevederà la pubblicazione di articoli selezionati dall'archivio e di testi inediti. Il giornale lancerà infatti una dozzina di ebook da 10-20mila parole, in partnership con Byliner, su cultura, sport, business, scienza e salute a partire dal 17 dicembre - e al prezzo di circa 3 dollari. Sull'altro versante, assieme al digital publisher Vook, il NYT ‘darà alle stampe' una selezione di articoli tratti dal cartaceo per un progetto denominato TimeFiles. Si tratterà di 25 ebook disponibili anche questi dal 17 - e destinati a crescere nel 2013 - su Kindle, iBooks, Nook e NYT Store (tra i titoli in uscita - per dare un'idea della selezione - «La caduta del muro di Berlino»). Conquistare nuovi lettori su nuove piattaforme, o raggiungere i vecchi, con contenuti nuovi o curati, su dispositivi adatti a testi di tipo longform - quali ovviamente saranno.
Ridefinire il digital advertising
Ma a cambiare forma sono state anche le inserzioni pubblicitarie: Pergam ricorda l'introduzione dei cosiddetti sponsored content citando gli esempi dei post pubblicitari di Gawker o della sezione BrandVoice di Forbes, senza dimenticare il varo degli Insight su Boston.com, la versione online del Boston Globe, e il lancio dei Bullettin su Quartz, la costola finanziaria di The Atlantic. Si tratta del cosiddetto native advertising, che identifica quel tipo di inserzione che viene impaginata e proposta come fosse un contenuto originale del sito - ma segnalata da annunci specifici, come «special advertiser feature» - con l'obiettivo di attirare l'attenzione dell'utente senza infastidirlo con i classici banner ma invitandolo alla lettura e alla condivisione. Dimostrandosi una delle innovazioni dei media digitali più interessanti dell'ultimo anno.
D'altro canto, fa notare Jeff Roberts, i media online hanno bisogno di attirare l'attenzione degli inserzionisti e riuscire a strappare clienti e quote a media tradizionali come la tv, che detiene ancora la fetta più grande del mercato ma sulla quale le inserzioni costano ancora molto (e, secondo Janko Roettgers, nel 2013 comincerà a pagare realmente la concorrenza dell'online). La competizione fra media, secondo il reporter di GigaOm e PaidContent, porterà - come già sta facendo - gli attori digitali a inventarsi nuovi modi per diventare più appetibili agli occhi degli inserzionisti, per cercare di convincerli a investire meno e in modo più 'intelligente' proponendo idee innovative - un esempio su tutti la time machine di BuzzFeed di qualche mese fa, che riproponeva la home del sito in vari stili in base a diverse epoche storiche, sponsorizzata da General Electric e citata questa settimana nell'articolo di Alyson Shontell su Business Insider «Inside Buzzfeed with Jonah Peretti».
Cosa aspettarsi dal 2013, dunque? Robert Andrews, sempre per «What we'll see in 2013» di GigaOm, conferma la tesi secondo la quale i branded content conquisteranno sempre più spazio fino a giungere all'apice della loro breve storia, nel tentativo di aiutare i committenti a vendere in modo innovativo i loro prodotti o servizi, e i siti ospitanti a trovare finalmente una strada profittevole nel mercato online. Questo modello, avvisa però, metterà a dura prova la capacità del lettore di riuscire a distinguere i contenuti editoriali da quelli pubblicitari, «ammesso che questa separazione a loro importi ancora».
Ridefinire lo scenario editoriale
Il panorama resta comunque caratterizzato da una violenta - e ben nota - crisi, che non ha risparmiato in questi mesi l'edizione cartacea di Newsweek, il FT tedesco, The Daily, i tagli di centinaia di redazioni, e che ha portato la Journal Register Co. a richiedere l'istanza di fallimento per la seconda volta. Ingram si aspetta che nel 2013 il conto delle testate che seguiranno l'esempio della JRC sarà destinato ad aumentare, e altrettanto dovrebbero fare le altre che saranno costrette a chiudere del tutto. Nello scenario immaginato su GigaOm, l’autore prevede anche il 'crollo' futuro di almeno un paywall, con alcuni siti che decideranno di fare marcia indietro - una volta provata con mano la differenza fra i subscription plan del New York Times e quelli di giornali minori che non possono permettersi di perdere troppi lettori, come il Boston Globe - e tornare a monetizzare il più possibile sui loro contenuti e sull'online advertising.
Parlando del New York Times, nello specifico, Jeff Roberts immagina per la Grey Lady un 2013 particolarmente duro: se è vero che le entrate dovute alla diffusione sembrano essere buone, quelle dal versante della pubblicità continuano comunque a scendere, in uno scenario nel quale il brand, fortissimo, prima o poi non potrà più fare da garante. È pur vero che la proprietà è riuscita a mettere da parte, grazie ad alcune cessioni, una sorta di tesoretto, ma Roberts si aspetta che il denaro finirà per esser impiegato nei prossimi mesi nella distribuzione di dividendi più che negli investimenti editoriali. La sua previsione per il prossimo anno, nel panorama giornalistico, è che comunque sarà quello del Pulitzer a BuzzFeed. «Yes, you read that right», precisa: se è arrivato nella redazione dell'Huffington Post, allora è probabile che prima o poi possa toccare alla creatura gattofila di Smith e Peretti, che si starebbe conquistando il rispetto di lettori e concorrenti.
Quanto al 2012 - del quale, dal punto di vista economico, sappiamo già abbastanza - c'è da segnalare l'interessante analisi di Hamish McKenzie su PandoDaily: secondo i dati di MediaFinder - un archivio che registra i dati di magazine americani e canadesi - quest'anno sarebbero stati lanciati 195 titoli, 14 in più rispetto al 2011 e dei quali solo 24 digital only, contro i 29 dell'anno precedente. In totale, avrebbero chiuso 'solo' 82 riviste - contro 152. La tendenza sarebbe quella alla creazione di magazine di 'valore' - che continuano a nascere e a sopravvivere a dispetto di riviste generaliste come Newsweek e Time che invece soffrono molto -, una stampa di qualità per un modello molto simile a quello del giornale di lusso proposto la settimana scorsa da John Cassidy sul New Yorker. La morale, conclude l'autore, non è che il digitale ha ucciso i magazine: li ha sfoltiti, li ha resi «più esclusivi». In sostanza, avrebbero solo cambiato forma.