di Fabio Chiusi
È la straordinaria umiltà di Aron Pilhofer la lezione principale del panel su Internet e politica cui avrebbe dovuto partecipare Matteo Renzi e che invece, con ripensamento dell'ultima ora, ha bucato. Pilhofer è direttore delle Interactive News per il New York Times: avrebbe potuto guardarci tutti dall'alto in basso, salire in cattedra e sparare. E invece è venuto a dirci che no, non ha capito niente. E non ci stiamo capendo niente. Perché «uno dei più grandi digital divide è nei media, e buona parte dei media è dalla parte sbagliata di quel digital divide». Non solo infrastrutture e cultura: anche il giornalismo rischia di venire travolto nel ridefinirsi dell'ecosistema dell'informazione. E del potere, a volte più abile di chi lo dovrebbe tenere a bada nel maneggiare i nuovi strumenti digitali.
«Non capiamo i social media, il big data», dice Pilhofer, e il pensiero corre immediatamente all'Italia dell'ascesa di Beppe Grillo dalle briciole al 25 percento senza che editorialisti, sondaggisti, computatori di tweet e affini fosse riuscito non solo a prevederlo, ma a vederne le radici sociali e individuali. È la perdita di autorevolezza e di legittimità del giornalismo che non vuole e non sa mettersi in discussione, cerca la battuta smagliante da social network invece di pronunciare un socratico e salutare so di non sapere. Pilhofer non solo l'ha fatto, lode a lui. Ha anche proposto una via di uscita: «maggiore sofisticazione nell'analisi». È grazie a quel di più di complessità che Nate Silver, dice, è stata la principale fonte di traffico per il Times durante le presidenziali del 2012, dice Pilhofer. I lettori volevano quel livello di sofisticazione nell'analisi, e solo Silver era in grado di darglielo.
Mentre ci spacchiamo il cranio sulla rappresentatività (prossima a zero) dell'utenza di Twitter rispetto all'intero dell'opinione pubblica, chiediamoci anche se noi giornalisti siamo in grado di soddisfare questa volontà di ricchezza dei lettori, se siamo ancora in grado di dire loro qualcosa che non sanno. Una prova di umiltà, appunto. Ne saremo all'altezza?
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