Per i gruppi editoriali le comunità di lettori sono sempre più strategiche. Creare una numerosa e radicata comunità on line che si relaziona con i prodotti editoriali è uno dei modi per sopperire alla riduzione d'introiti e aumentare l'audience e la portata di un giornale, di una rivista. Il panel “Costruire comunità”, alla Sala Raffaello dell'Hotel Brufani, ha dato al numeroso pubblico presente il polso della situazione sul modo in cui i principali network si stanno muovendo in un ambito sostanzialmente nuovo e dal potenziale in parte inesplorato. Secondo Emily Bell (ex giornalista del The Guardian), imbeccata dalla domanda della moderatrice Jane Martinson, il giornalismo non può che essere aiutato dalle comunità. “Noi non siamo i proprietari esclusivi della notizia – racconta la Bell -, ci sono lettori che ne sanno più di noi e che grazie ai commenti ci correggono e ci aiutano ad integrare delle informazioni. Grazie a tutto ciò il giornalismo amplifica la propria portata”. I grandi quotidiani ed i grandi magazine devono essere capaci di avere comunità che danno al lettore una sensazione di appartenenza, fondamentale per generare anche un profitto economico; tuttavia, come sostiene Steve Buttry (editor Digital First Media), è difficile misurare con precisione il valore finanziario delle comunità poiché entrano in campo molteplici fattori spesso poco tangibili. Il punto fondamentale è l'autorevolezza e la credibilità che pian piano un giornale costruisce intorno ai propri lettori, lettori attivi nel commentare le notizie. Anthony De Rosa, social media editor della Reuters, mette l'accento sulla portata dei social network: “Grazie ad essi e alla loro integrazione con le notizie si crea un flusso dalle grandi potenzialità. Le comunità devono essere poi integrate all'interno di tutto il lavoro editoriale che facciamo, è un ottimo sistema di pesi e contrappesi: infatti alcuni nostri utenti possono essere più esperti del giornalista su un determinato argomento e, quindi, integrarlo o correggerlo”. Il rapporto tra giornalisti e commenti è uno degli aspetti più spinosi della questione. Tutti i relatori del panel concordano sul fatto che tradizionalmente molti giornalisti sono per natura ostili ai commenti, spesso non li leggono neppure. Le cose stanno lentamente cambiando. Molti professionisti del settore iniziano ad interagire con i lettori, commentando in prima persona alcune critiche ed usando altre volte suggerimenti o spunti. “I giornalisti devono entrare in prima persona dentro le comunità”, sostiene De Rosa. Un altro problema urgente riguarda il controllo delle comunità. C'è il rischio che si vada verso una deriva dove non c'è più la mediazione del giornale, una deriva dove il flusso di commenti su un determinato evento non è controllato. “C'è tanta informazione nella folla - dice ancora Anthony De Rosa- la folla può portare avanti le notizie perché il reporter certe volte non può arrivarci, ma è il reporter stesso che deve sempre verificare e controllare tutte le informazioni che gli passano davanti”. Sul valore e sull'importanza delle comunità virtuali è significativa la frase conclusiva di Emily Bell: “Se accade qualcosa e non ci sono commenti non c'è notizia, se ci sono commenti allora sì, abbiamo una notizia”.
Andrea Tafini