Centro Servizi G. Alessi, ore 10.00
L’obiettivo del dibattito è stato cercare di osservare la professione da un punto di vista diverso rispetto alla consuetudine: quello della ricerca di una quotidianità e apparente normalità anche in zone difficili e alle prese con situazioni delicate. L’esperienza è stata raccontata da Στελλα Πενδε, giornalista di Χονφεσσιονε Ρεπορτερ, la fotografa Σιμονα Γηιζζονι e la giornalista del Δαιλψ Τελεγραπη, Ρυτη Σηερλοχκ.
“Voglio che il reportage sia un racconto di pietas e non voyerismo del dolore”, ha spiegato Stella Pende, autrice di servizi televisivi sulla condizione della donna nelle zone di guerra, le violenze di mariti e padri a cui vengono sottoposte. “Il reportage è un modo per proiettare il lettore nella storia, raccontandola e mettendo insieme l’aspetto giornalistico, ma anche l’aspetto personale: è impossibile dividere la professione dalle emozioni perché il reportage per definizione è emozione”, ha spiegato Stella Pende.
Simona Ghizzoni ha raccontato le donne algerine attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica, cercando di catturare con le immagini le conseguenze della guerra nella vita delle donne: i loro sguardi, i loro diari, una frase scritta su un foglio “Just to let you know that I’m alive”, raccontano meglio di tante testimonianza: “Con le fotografie, si può ricostruire la storia anche dopo che sia accaduta”, ha spiegato Simona Ghizzoni.
Ruth Sherlock ha 25 anni e vive in Siria. Da lì racconta la guerra per il Δαιλψ Τελεγραπη: “Dopo tanto tempo tra le bombe e la morte a volte si è assuefatti a tanto dolore, ma quando ci si ferma a pensare piombano addosso tutte le emozioni”. Ruth ha raccontato il suo sguardo personale sulla guerra: “Uomini che combattono con i sandali, ragazzi che non sanno come si tiene in mano un kalashnikov perché fino al giorno prima lavoravano in una gelateria, tutto questo si può cogliere solo stando sul posto e guardando la guerra e la vita della gente con i propri occhi”.
Ma i reportage non sono necessariamente lontani. Σοφια Χορβεν vive a Milano ed è una tassista di notte e una blogger di giorno. Nel suo blog πσιχοταξι.ιτ racconta romanzando le storie che provengono dai passeggeri che salgono sul suo taxi come in un reportage urbano. “Alcuni semplicemente chiacchierano, altri parlano al telefono, altri ancora si confessano: così nascono le storie che raccolgo nel mio blog”, ha raccontato.
La moderatrice Ανναλισα Φαντιλι ha voluto portare il dibattito verso un punto di vista diverso: discutere sulla ricerca di una quotidianità e di una normalità anche nei momenti difficili come le esperienze nelle zone di guerra. La scelta ha acceso la discussione: “E’ impensabile per noi una normalità quando potrebbero cadere bombe da un momento all’altro”, ha spiegato Simona Ghizzoni. Diverso invece il punto di vista di Ruth Sherlock, che è riuscita a ritagliarsi dei momenti di apparente normalità anche in Siria: una spiaggia, una nuova amicizia possono per un attimo far dimenticare dove ci si trova.
Non è facile parlare di normalità in una situazione di guerra. Il pubblico in sala ha dibattuto in modo acceso con le ospiti sulla effettiva possibilità di vivere una apparente tranquillità in una situazione delicata senza che questo sia interpretato come una mancanza di rispetto nei confronti di chi è costretto sotto le bombe e ha perso figli e amici. Il rischio è quello di sminuire tanto la sofferenza altrui quanto il lavoro giornalistico di una donna.
Valentina Gasparro