L’ONA (Online News Association), che raccoglie più di 2.000 giornalisti digitali in tutto il mondo, da sempre si prefigge lo scopo di migliorare il servizio pubblico, di pari passo ai cambiamenti che stanno attraversando il mondo dell’informazione.
Proprio per questo, di recente, ha creato un gruppo di lavoro di giornalisti che utilizzano i contenuti raccolti dagli utenti, affrontando con questi ultimi le questioni etiche riguardanti la selezione d’informazioni in modo sociale.
È intorno a questa tematica, oggi di grande attualità, che si è concentrato l’incontro svoltosi oggi presso la Sala Raffaello dell’Hotel Brufani.
Fergus Bell, social media editor per Associated Press, ha cominciato illustrando i cinque fondamentali punti da analizzare:
1. Verifica e precisione (verification and accuracy)
2. Sicurezza dei collaboratori ( contributors’ safety)
3. Diritti e questioni giuridiche (rights and legal issues)
4. Sicurezza dei giornalisti "sociali" (social journalists’ well being)
5. Flussi di lavoro e risorse (workflows and resources)
Bell si è immediatamente focalizzato sugli aspetti legali, spiegando: “I problemi giuridici e morali spesso si sovrappongono, ma spesso una cosa moralmente giusta può dare avvio a problemi giuridici.” Ha poi continuato “Di solito quando parliamo di UGC (User Generated Content) ci rifacciamo a piattaforme internazionali, dotate di giurisdizioni internazionali, tuttavia esistono notevoli differenze legali tra i vari paesi di cui occorre tener conto.” Anche la giornalista Barbara Sgarzi si è soffermata sulla questione legale rifacendosi alla sua esperienza personale: “In Italia ho intervistato numerosi avvocati che si occupano di diatribe sorte online. È emerso come nella maggior parte dei casi gli utenti non leggano il contratto, credono che i social siano dei giochi.” La Sgarzi ha poi sottolineato la necessità, reclamata soprattutto dai giornalisti, di una politica dei social media.
Claire Wardle, ricercatrice del Tow Center for Digital Journalism, ha espresso: “L’esigenza quando si parla di UGC di non guardare solo al contenuto, ma soprattutto all’utente, affrontando gli aspetti etici. Altra necessità è dire da dove provengono queste notizie, occorre attribuirne la paternità.”
Per fare ciò, ha chiarito Steve Buttry, direttore di Digital First Media, “Dobbiamo allontanarci da questo rapporto conflittuale con gli utenti, occorre collaborare con loro. Tutti desiderano contribuire all’informazione.” La ricercatrice Marina Petrillo, paragona le UGC a dei portafogli senza carta d’identità che vengono liberamente utilizzati, senza che ne venga citata la provenienza. Che invece è richiesta, come spiega Buttry : “Fare il crediting del giornalista è fondamentale, così dobbiamo fare la stessa cosa per l’utente. Non è solo una cortesia, ma rappresenta un elemento di verifica e onestà.”
Non riportare la fonte nel caso di UGC, spiega Bell, può addirittura arrivare a ledere la credibilità della testata. Inoltre un approccio trasparente può essere d’esempio ai lettori
Tuttavia, come osserva la Sgarzi, questo mancato riferimento spesso è dato dal flusso del lavoro, dalla velocità con la quale operano le piccole redazioni in Italia.
Numerosi gli interventi e le domande sollevate dal pubblico. È stato chiesto se vista la crisi del giornalismo le UGC non stiano sostituendo gli inviati e se sia giusto ricompensare gli utenti che forniscono informazioni. Conformi le risposte degli speaker che hanno ricordato come comunque spetti al giornalista il lavoro di filtro e completamento della notizia. Oltre a ciò più che una retribuzione, gli utenti desiderano essere citati magari per farsi pubblicità, come ha ricordato Fergus Bell, il quale ha chiuso l’incontro invitando i presenti a collaborare nuovamente con ONA aderendo al gruppo: bit.ly/1hnx7l3 .
Camilla Valli