Perugia, 3 maggio 2014
Un'ora di tempo e 31 domande a cui dare una risposta, ecco la sfida in cui Luca Sofri, direttore de Il Post, si è imbarcato alle 17.00 presso una Sala del Dottorato affollata di giovani giornalisti. “L'idea”, ha cominciato il giornalista, “è quella di mettere della carne al fuoco su temi che riguardano il cambiamento dell'informazione partendo da domande grandi o piccolissime”.
Prima domanda: i giornali sono prodotti commerciali o servizi pubblici? Risposta: fondamentalmente entrambe le cose, nel senso che qualsiasi giornale, qualunque siano i suoi valori o le sue dichiarazioni, persegue pur sempre un profitto. Ciò non toglie che questi siano un servizio essenziale per la crescita democratica di una comunità. Ancora: le notizie devono essere nuove? Non necessariamente, in quanto Internet permette il reflusso continuo e costante di notizie anche passate. Si è parlato della differenza, ormai piuttosto labile, tra aggregatori di notizie e giornali classici e di altre questioni strettamente legate alla gestione di un sito di web news: se indicare o meno le correzioni a pezzi online – generalmente sì, ma dipende dal contesto; a cosa servano i commenti dei lettori – a molto poco, in realtà, se non a dare un feedback al giornalista; se Twitter abbia sostituito le agenzie, e la risposta è che sì, in particolare per gli esteri Twitter ha reso del tutto obsoleto il ruolo delle agenzie, battendole in velocità e quantità di notizie fornite.
Molti quesiti hanno ruotato intorno a questioni di stile giornalistico che ancora non è possibile dare del tutto scontate, particolarmente in Italia: si è parlato della “ansia da chiusa”, che porta molti redattori a scontati e superflui finali letterari, o del vizio italico di inventare i virgolettati, dando vita a polemiche accese, per non parlare delle frasi fatte, artificiose e al contempo trasandate che occupano gran parte dei giornali.
Parlando di questioni più generali, Luca Sofri si è interrogato sul ruolo dei corrispondenti all'estero, spesso inutile, particolarmente nelle grandi capitali, e su come sia difficile fidarsi di un collaboratore sconosciuto, per quanto interessante possa essere il materiale che offre: il lavoro di controllo che tale materiale comporterebbe equivale alla fatica di scrivere il pezzo stesso. Oltretutto è ormai poco chiaro che cosa sia una notizia: ciò che banalmente un giornale deve fare è offrire qualcosa di nuovo sul mondo. Pertanto è notizia tutto ciò che non viene detto, tutto ciò che ancora non è stato scritto. Del resto, possiamo definire realmente giornalista solo colui che fa “buona” informazione. Restando in tema di etica professionale, bisogna abbandonare la vecchia idea che fatti ed opinioni vadano separati: ogni giornalista raccontando una notizia dà delle valutazioni, l'importante è distinguere racconto e opinione.
Una domanda agrodolce: chi vorrebbe fare il direttore del Corriere della Sera, carica una volta ambita, oggi temuta? Dalla trentunesima domanda comprendiamo come il mondo del giornalismo stia cambiando: cosa mettere ora in apertura? La questione è irrilevante, infatti, in una realtà in cui l'informazione è orizzontale, “non c'è più la prima pagina”.
Matteo Scopel