Gli aiuti umanitari tra guerra, innovazione e media

"Al giorno d'oggi nessuno può dirsi distante da quanto succede nelle zone di guerra. Migliaia di profughi arrivano sulle coste italiane e sono proprio le persone coinvolte nei conflitti". Carlotta Sami, portavoce dell'Unhcr per il Sud Europa, racconta al pubblico della Sala Notari il dramma dei Pasi di guerra, dove gli umanitari operano per tentare di migliorare le condizioni di quei popoli. Un lavoro che spesso s'incontra e si scontra con quello dei media: "In Palestina inizialmente eravamo diffidenti nei confronti dei giornalisti. Mettendo da parte lo scetticismo abbiamo capito come la collaborazione fosse il modo più funzionale per ottenere i risultati migliori".

Gli umanitari in alcuni casi possono aiutare i giornalisti nello svolgimento della loro professione. Racconta la sua esperienza Melissa Fleming, direttrice delle comunicazione dell'Unchr, promotrice di una mostra di artisti iracheni. Nella ricerca di sostegno da parte dell'informazione per pubblicizzare l'esposizione, erano i giornalisti ai quali si rivolgeva a chiedere aiuto a lei per riuscire a raccontare il paese, ormai completamente ostile ai media. "Gli operatori devono essere umili e mettersi al servizio dei media, per dar voce a chi non ce l'ha", commenta Alessandra Morelli, delegata Unhcr per la Somalia. La Morelli ricorda inoltre come la sua associazione celebri ogni 20 di giugno la giornata dei rifugiati, che quest'anno prevede un concorso di scrittura intitolato "La mia Somalia" aperto ai giornalisti rifugiati in Kenya e nel Corno d'Africa.

Ed è sempre più difficile per i giornalisti raggiungere zone di guerra. Non solo per la pericolosità insita in certi luoghi, ma anche a causa della crisi dell'editoria che porta generalmente alla decisione di tagliare il budget proprio nella sezione "inviati". Per questo secondo Anna Masera, capo ufficio stampa della Camera dei deputati, può essere utile per i giornalisti far affidamento e collaborare con i citizen journalists.

Diversi sono gli errori in cui un giornalista può facilmente incappare nel trattare argomenti delicati come quelli dei conflitti. Una difficoltà che  doveva essere in parte ovviata dalla Carta di Roma, che per Giovanni Maria Bellu, direttore di Left, aiuta da un punto di vista del glossario, ma sta poi all'individualità del giornalista evitare di trattare determinate tematiche utilizzando un tono spettacolarizzante e sensazionalistico.

Il problema principale rimane comunque quello di attirare l'attenzione dei fruitori dell'informazione. La Fleming è convinta che il veicolo migliore per farlo sia oggi Internet. Attraverso Twitter, siti e blog bisogna dar spazio alla creatività e raccontare le storie sempre con speranza: "Bisogna iniettare fiducia nei rifugiati e dar loro la sensazione di sentirsi a casa". E sempre attraverso Internet deve passare l'educazione a questi temi per le nuove generazioni.

Silvia Renda