La Crimea raccontata dai mass media

4 maggio, ore 11.00 – al Teatro della Sapienza si parla della crisi internazionale in Crimea, che vede la Russia ancora una volta contrapposta alle potenze occidentali. Al dibattito condotto da Renato Coen di Sky TG24 partecipano Lucio Caracciolo, direttore della rivista italiana di geopolitica Limes, e Paolo Mieli, presidente di RCS libri.

Qual è il ruolo dei mass media nella gestione dei delicati equilibri internazionali? Come sostiene Coen, è importante soffermarsi ad analizzare le narrazioni costruite dai media poiché “le parole definiscono, descrivono, e talvolta stabiliscono ciò che avviene”. Messa da parte l’ipotesi irrealistica di un’informazione super partes, per comprendere eventi così complessi – le cui cause talvolta hanno radici lontane nella storia – è importante utilizzare gli strumenti interpretativi giusti. “C’è una tendenza diffusa a sviluppare un’opinione in base alla simpatia o antipatia nei confronti di  Vladimir Putin” – dice Mieli. Questo mette in luce le contraddizioni provocate dall’informazione di stampo massmediale, che spesso si basa su slogan e non fornisce ai lettori le basi per interpretare gli eventi con un pensiero più approfondito e strutturato.

La crisi ucraina è l’esempio di un conflitto che potrebbe sfociare in guerra civile, afferma Caracciolo, ma che per il momento non rischia di oltrepassare questo limite. Da una parte, infatti, troviamo quelle che egli definisce “forze invisibili”: soldati russi nascosti da tute da combattimento che non permettono di identificarli. Dall’altra, un esercito ucraino pressoché inesistente, che faceva parte fino a venti anni fa di quell’armata sovietica a cui oggi si trova contrapposto. Le frontiere ucraine erano i confini amministrativi dell’URSS, e tuttora si tratta di un Paese contraddittorio, sospeso fra sentimento nazionalista e minoranze etniche significative, tra cui filorussi e Tatari. La stessa Kiev, divisa fra tradizione ucraina e un passato da matrice della Russia zarista, è capitale di una nazione dove un ristretto numero di oligarchi controlla l’80% del PIL, dopo aver privatizzato la quasi totalità dell’economia del Paese.

Un compromesso ragionevole è ancora possibile, afferma Caracciolo: dal risultato delle elezioni e dei referendum – che si svolgeranno entro il 25 maggio nelle zone di contrasto – si capirà se l’Ucraina volge verso una riconciliazione o verso una crisi irreversibile fra Russia e potenze occidentali. Questo provocherebbe ripercussioni notevoli anche per l’Europa, storicamente legata a Ucraina e Russia per l’approvvigionamento di gas, ma anche per una questione di sicurezza e stabilità: l’Ucraina è uno dei Paesi che produce più armi al mondo – Kalashnikov in particolare – e i Balcani in generale costituiscono l’epicentro della criminalità dell’est; rovinare gli equilibri in queste zone di confine con la Russia potrebbe rendere ingestibile la situazione.

A proposito del “rischio balcanizzazione” e “nuova guerra fredda” di cui si parla molto ultimamente, Mieli sostiene che ricercare nel passato modelli a cui ricondurre gli eventi attuali può essere un’arma a doppio taglio. Porta gli esempi di due casi di “imbarazzo per l’Occidente nell’interpretare queste crisi internazionali”: da un lato il rimorso per non aver limitato da subito – quando ancora sembravano innocue – le invasioni hitleriane in Europa; dall’altro il comportamento contradditorio dell’ONU alla fine degli anni ’90 nei confronti dell’indipendenza del Kosovo dalla Serbia – dichiarata illegittima fino a poco prima. Se da un lato si auspica di evitare la guerra concedendo territori tramite compromessi, dall’altro ci si chiede se non sia preferibile limitare tentativi espansionistici da parte della Russia, sulla base delle lezioni del passato. Ma come negare la legittimità di un referendum per l’annessione della Crimea, considerando il recente caso di negligenza delle Nazioni Unite nei confronti del Kosovo? Il dibattito rimane aperto.

Silvia Mazzieri

@SilviaMazzieri