Gli Open Data sono uno strumento di informazione molto importante per il cittadino: consentono di valutare e controllare l'operato delle pubbliche amministrazioni, per esempio, o più in generale conoscere in modo preciso il contesto sociale, politico, economico o ambientale in cui viviamo.
Il problema è saperli leggere. Spesso, infatti, accedendo alla sezione “trasparenza” dei siti delle pubbliche amministrazioni, il cittadino si trova di fronte a masse di dati di difficile interpretazione. Come riuscire a ricavarci delle informazioni utilizzabili?
È questa la domanda attorno a cui è ruotata la conferenza che si è tenuta questo pomeriggio nella sala Perugino dell'Hotel Brufani (titolo: “Strumenti Open Source per il giornalismo: come usare gli Open Data”), e che ha visto incontrarsi al tavolo dei relatori Sonia Montegiove, informatica e presidente dell'associazione LibreItalia, Alfredo Parisi, anch'egli informatico e fondatore di LibreUmbria, e Italo Vignoli, consulente di comunicazione e fondatore di LibreItalia e tra i realizzatori del progetto LibreOffice.
LibreItalia (www.libreitalia.it) è un'associazione non profit che si occupa di difendere e promuovere il software libero, come per esempio LibreOffice (http://it.libreoffice.org), un pacchetto completo di programmi free e open source che consentono di svolgere le più svariate operazioni (scrivere, elaborare dati numerici, produrre grafici, creare presentazioni, costruire database, disegnare e altro ancora). Di questo strumento completamente gratuito ed “aperto” alle modifiche il giornalista può disporre per colmare quel gap di incomunicabilità che spesso separa gli Open Data e il cittadino desideroso di informarsi. Per spiegare questa missione giornalistica, Montegiove è ricorsa alla metafora della cucina: «Spesso gli Open Data non sono appetibili, e i cittadini non ne fanno richiesta. Le pubbliche amministrazioni usano questo fatto come motivo per spiegare la scarsa attenzione alla presentazione degli Open Data sui propri portali. Ma è un circolo vizioso: se i dati fossero resi disponibili in maniera comprensibile ed efficace, sarebbero sicuramente più richiesti. La sfida per il giornalista è quindi riuscire a “cucinare” bene gli ingredienti, in modo da rendere l'Open Data appetibile per il cittadino». Per questa ricetta, oltre ai dati, ingredienti necessari sono: le informazioni collaterali che consentono di leggerli correttamente, una buona dose di pazienza e, appunto, l'aiuto di LibreOffice e di altri programmi opensource. I software, ha spiegato Parisi, sono particolarmente utili nella fase di rappresentazione dei dati, che deve seguire a quella della loro interpretazione. Grazie a questi strumenti il giornalista può, per esempio, selezionare i dati più utili (data cleaning), elaborare grafici interattivi e creare mappe.
In chiusura di incontro, Vignoli ha affrontato i due nodi teorici più rilevanti all'interno della discussione su Open Data e software Open Source: le licenze e i formati dei documenti. La licenza associata a un documento, ha spiegato, definisce ciò che l'autore vuole rendere condivisibile e ciò che l'utente può condividere. Purtroppo, spesso le licenze sono scritte in “legalese”, un linguaggio oscuro ed artificioso che l'utente ha difficoltà a comprendere. «Associazioni non profit come Creative Commons aiutano a semplificare la pubblicazione di una licenza, consentendo di tradurre il “legalese” in un linguaggio più “umano”. Le pubbliche amministrazioni, così come le testate giornalistiche, dovrebbero essere meno reticenti nell'associare licenze ai propri documenti: erroneamente pensano di perdere i propri diritti sui dati pubblicati, mentre in realtà, regolandone la fruizione, esse sarebbero più tutelate». Vignoli ha quindi sottolineato l'importanza di promuovere i formati standard dei documenti (che non sono, come molti erroneamente ritengono, quelli associati ai programmi Microsoft Office). «Un formato standard dovrebbe essere prodotto da un ente neutrale, in modo aperto, e deve essere agnostico verso l'utente: la sua applicazione non deve dipendere costantemente da una sua scelta. Gli standard aiutano enormemente la condivisione dei documenti e consentono di costruire piattaforme di intercomunicabilità tra gli utenti».
Daniele Conti