Si è tenuto questa sera alle ore 18.30 presso la sala di Palazzo Sorbello il panel che ha visto protagonisti Mario Seminerio, manager ed editorialista, Veronica De Romanis, economista ed autrice, e Ferdinando Giugliano, de La Repubblica, discutere sul tema delicato della ripresa economica italiana dopo la Grande Recessione.
Mario Seminerio esordisce dicendo che si tratta di “una ripresa cinica” avvenuta in sincrono, negli ultimi due anni, con il governo Renzi. Lo stesso Presidente del Consiglio ha rivendicato e rivendica tuttora i meriti di questa ripresa sia dal punto di vista strutturale, ritenendo che l’azione del suo governo sia stata decisiva per la rinascita economica del paese, sia in ambito europeo esercitando una pressione sulle comunità europee per rallentare le condizioni di austerità stretta che hanno caratterizzato tutta la crisi dell’Eurozona. Di conseguenza, un problema che persiste è quello legato ai numeri che non sembrano essere d’accordo con quella che è la narrativa di Renzi: nel 2015 la crescita del PIL italiano, ad esempio, è e resta estremamente debole causando un divario tra la crescita media dell’Eurozona e quella italiana. “La riforma cardine per la quale il governo Renzi si caratterizza, come sapete, è verosimilmente la riforma parziale del mercato del lavoro, il cosiddetto contratto a tutele crescenti nel Jobs Act, un contratto applicato ai nuovi assunti che di fatto disapplica e rottama l’articolo 18” dichiara Seminerio.
“Il Jobs Act è stato accompagnato – continua - da una misura di sussidio alle nuove assunzioni che ha determinato, per tutti gli assunti con il nuovo contratto nel 2015, una decontribuzione di poco più di 8 mila euro annui per un triennio.” Nel frattempo, il nostro paese ha avuto una crescita debole spinto dal miglioramento della congiuntura internazionale: abbiamo avuto, così, dei dati di crescita di PIL interessanti e positivi (il primo trimestre del 2015 con +0,4%, il secondo trimestre con +0,3%, il terzo con +0,2% ed il quarto con +0,1%). Per cui c’è stata un’evidente decelerazione avvenuta in parallelo con una sorta di raffreddamento della stessa congiuntura internazionale indotta dalla crisi dei paesi emergenti e dal fatto che la Cina sta cambiando il proprio modello di sviluppo (da un modello di crescita basato su investimenti ed esportazioni ad uno basato sui consumi interni).
Concludendo il suo intervento Seminerio dichiara che “Renzi non è riuscito a tagliare da 16 a 18 miliardi di spesa pubblica promessa dall’Italia in Commissione Europea portando avanti, invece, le clausole di salvaguardia, ovvero l’aumento dell’Iva.”
La parola passa, poi, a Veronica De Romanis che apre il suo discorso ricollegandosi alla crescita italiana: “Nel 2015, come diceva Mario, siamo cresciuti dell’0,8% ma in realtà è la metà di quello che cresce la media dei paesi dell’Eurozona e rispetto a quei paesi che sono stati, in un certo senso, salvati come la Spagna ed il Portogallo.” Analizzando la composizione della crescita una grande parte di essa è dovuta senz’altro alle scorte e questo vuol dire che, molto probabilmente, le aziende aspetteranno di produrre per eliminare, prima, le rimanenze di magazzino.
A questo punto una domanda che sorge spontanea è quella relativa al perché l’Italia non cresce. Secondo l’economista un fattore determinante è la mancata riforma sulla pubblica amministrazione che ridefinisca il perimetro dello Stato stabilendo chi fa cosa e con quali risorse. In secondo luogo, un aspetto di fondamentale importanza è la disoccupazione, di dieci punti superiore alla media europea e ben quindici rispetto a quello della Germania. La terza probabile causa è il debito pubblico ed è un problema perché l’Italia si trova in un’unione monetaria dove viene condivisa la moneta ma non la politica fiscale.
Infine, la parola passa a Ferdinando Giugliano che incentra il tema del suo discorso sulla comunicazione economica e su come essa passa alle persone attraverso il giornalismo. “Negli ultimi otto anni il bisogno di comprensione dei fenomeni economici è aumentato in maniera esponenziale per colpa della crisi economica.” dichiara il giornalista de La Repubblica. “Di fronte a questo bisogno profondo di comprensione, secondo me, non c’è stato uno scatto in avanti da parte della comunicazione economica. Questo in parte viene attribuito alla proprietà dei giornali e dei mezzi di informazione ed in parte a come i giornalisti svolgono il loro lavoro a prescindere delle pressioni legate a questo discorso”. Si parla, dunque, di difetti del giornalismo economico legati ad un problema di competenze, ad un problema anagrafico, ad un problema del linguaggio, ad un problema di polemica (correlato alle vicende politiche) e, infine, ad un problema di scenario. Il risultato che ne scaturisce è, in parte, la crisi del giornalismo che determina di conseguenza l’obbligo da parte dei giornali a ricorrere ad economisti per i propri articoli dal carattere economico.
Martina Parisi