L’uso di un linguaggio corretto è uno degli elementi fondanti del giornalismo, soprattutto nel caso in cui il giornalista si trovi a dover coprire conflitti delicati come quello tra Israele e Palestina. “E’ possibile, in un conflitto del genere, in cui torti e ragioni sono distribuiti capillarmente, offrire una narrazione equilibrata?” è la domanda che Alessandro Gilioli de L’Espresso ha posto, dando inizio al panel di sabato 9 aprile, alle 9 e mezza al Centro Alessi, rivolto agli speaker ospiti Richard Colebourn di BBC NEWS, Susan Dabbous, giornalista freelance e Christian Elia direttore Q Code Mag.
Secondo Colebourn, la questione del linguaggio in questo caso è davvero fondamentale, perché ne va dell’imparzialità della narrazione. Esistono per esempio luoghi che hanno nomi differenti per le diverse “fazioni” e utilizzarli in maniera poco oculata rischia di far pendere il pezzo verso l’una o l’altra parte. Colebourn ha continuato specificando come la BBC, proprio in virtù di una narrazione equilibrata e soprattutto comprensibile ai lettori, stia promuovendo, a differenza del passato, un approccio alla cronaca più globale, che va a soffermarsi meno sui singoli episodi, ma affronta le questioni con un’occhiata più ampia.
Dello stesso parere Susan Dabbous, secondo cui i termini utilizzati nei pezzi a volte rischiano di generare una sorta di vero e proprio “tifo da stadio” a discapito del lavoro del reporter, già parecchio limitato dallo scarso spazio (in termini di righe) che può dedicare al suo articolo. La limitatezza del pezzo impedisce molte volte al giornalista di trasmettere un’indagine complessa e profonda sulle cause della questione, ha continuato Dabbous.
A tal proposito è intervenuto Christian Elia, direttore di Q Code Mag, un collettivo di giornalisti, foto reporter, video maker e cooperanti che nasce con l’idea di perseguire un tipo di narrazione “altra”, priva di una linea strettamente legata ai media tradizionali, volta ad indagare la complessità che alcuni casi meritano. “Quello che manca è il racconto del presente, perché la narrazione del conflitto Israelo-Palestinese è cristallizzata in una dimensione storica, in testi volti a parlare di tutto ciò che ha portato a quei fatti, senza però affrontare quel presente che noi abbiamo deciso di raccontare” ha detto Elia. "E’ necessario parlare con chi vive queste realtà tutti i giorni e non ne accetta le dinamiche, per cercare di estrarre la dimensione umana di una questione così profonda" ha continuato il giornalista. Ne sono un esempio alcuni lavori di Q Code Mag, come i Palestinian diaries di Costanza Lasagni, in cui è straordinariamente ampio lo spazio dato alle voci della vita quotidiana.
Giulia Ceccagno