Muri liquidi, spinati, di gomma. Cosa passa delle storie dei migranti

Raccontare l’esperienza dei giornalisti nelle frontiere, cioè quelle zone “privilegiate” per il racconto della migrazione, cercando di farlo in un modo lontano dal banale o da ciò che può sembrare scontato. Il panel di questo pomeriggio, tenutosi nella Sala del Dottorato e coordinato dalla giornalista di Radio Vaticana, Antonella Palermo, ha voluto soffermarsi sul lavoro dei giornalisti in questo campo e sul valore dello stesso. Numerose ricerche hanno infatti sottolineato che il racconto del tema della migrazione non è sempre oggettivo e lineare ma spesso va incontro a speculazioni e approssimazioni, dando credito ad alcuni luoghi comuni.
Giacomo Zandonini, giornalista freelance, da poco tornato da un viaggio sulla nave “Aquarius”, si è detto convinto che occorre raccontare e saper raccontare questi fatti. «Alcuni giornali italiani – ha detto – hanno smesso di cercare questo tipo di lavori ritenendo che ormai questa narrazione può mancare di attualità. Diversamente, i media stranieri sono ancora giustamente molto interessati a indagare il fenomeno della migrazione. L’Italia, ad esempio, non racconta adeguatamente come funzionano le operazioni di raccolta in mare ed è un’opportunità persa».
Mathilde Auvillain, responsabile comunicazione di Sos Méditerranée, ha quindi spiegato come la sua ong gestisce le richieste di accredito da parte dei giornalisti. Dopo aver lavorato per dieci anni in Italia per testate internazionali, la giornalista francese ha deciso, da qualche mese, di dedicarsi al tema delle migrazioni nel mediterraneo centrale. «Pensavo fosse una storia, invece era “la” storia» ha confessato ai presenti. «Una volta visto da vicino quello che  succede, non potevo voltarmi e far finta di nulla. Di fronte a questo problema, ho avuto la sensazione di essere ai confini non solo dell’Europa ma anche dell’umanità». Le ong hanno permesso sinora a tanti fotoreporter e giornalisti di vedere e documentare la situazione. «La prima missione per noi è salvare le vite, la seconda quella di portarle in salvo, la terza è quella di testimoniare».
Alessandro Penso, fotogiornalista freelance che copre il tema sin dal 2009, ha infine documentato negli ultimi anni gli attacchi a sfondo razzista, le storie di minori non accompagnati e quelle dei tanti muri presenti in Europa. «Dovremmo avere molta autocritica, l’Europa non si è dimostrata la patria dei diritti umani come si era sempre definita».

Claudio Staiti