Il Festival di Perugia come il Festival di Sanremo. O, almeno, questa è l’impressione che si è avuta questo pomeriggio per due ore nella sala dei Notari, dove Peppe Vessicchio ha presentato la sua autobiografia, intervistato da Antonio Sofi di Gazebo. Il titolo del libro deriva dalla scoperta che alcuni tipi di musica – in particolare quella di Mozart – favoriscono la produzione di latte da parte delle mucche, come pure la crescita delle verdure e il “respiro” del vino. Il progetto attualmente in corso vuole verificarne le potenzialità anche per rafforzare le difese naturali delle piante al posto dei prodotti convenzionali.
Napoletano di Fuorigrotta, 59 anni, Vessicchio ha scoperto la musica da bambino grazie al fratello maggiore, che portava in casa dischi e strumenti, e alla sua famiglia, che trascorreva la domenica pomeriggio suonando le canzoni della tradizione. Per il grande pubblico è diventato il direttore d’orchestra per antonomasia grazie alle sue numerosissime apparizioni sul palcoscenico dell’Ariston e alla collaborazione con i talent show musicali di Mediaset. «Il primo programma si chiamava “Saranno famosi” – ha ricordato il maestro partenopeo – e si ispirava a un vecchio telefilm americano, poi è diventato “Amici”. Si è trattato di una grande evoluzione: ha riportato in tv la musica e la danza, escluse perché “non facevano ascolto”, e soprattutto ha dato molte più opportunità ai giovani aspiranti cantanti, che prima avevano solo Castrocaro e Sanremo per cercare di emergere».
Quest’anno ha fatto rumore la presunta esclusione di Vessicchio dal Festival. In realtà si è trattato di una casualità, già capitata in passato. Carlo Conti lo ha invitato ad essere presente almeno una sera in platea. Ma sulla Rete si era già scatenato un fenomeno virale grazie all’hashtag #intantovessicchio, utilizzato per postare immagini semiserie che lo ritraevano impegnato a godersi la vita in vari modi durante l’inattesa settimana di libertà. Alla fine lui stesso si è divertito a postare un video per i Jackal in cui sorseggiava una birra durante una serata di gala.
Il ruolo del direttore affascina molto il pubblico – ha spiegato il musicista napoletano – che però lo conosce poco e tende a sottostimare quello degli orchestrali, tutti in possesso di un titolo di studio equivalente alla laurea nel loro strumento. Alcuni direttori tendono a “mettere gli speroni”, ma non sempre è necessario: in realtà quello che occorre veramente fare è «interpretare una sorta di volontà comune». Bernstein una volta si fermò, chiuse gli occhi e per alcuni minuti si beò della musica, salvo poi ricominciare a dirigere in un passaggio particolarmente difficile.
Di Alessandro Testa