Fake news: non bertele tutte!

Senza ombra di dubbio, oggigiorno, le fake news e la loro diffusione virale sono uno dei temi più dibattuti e controversi di sempre. A presiedere l’incontro, tenutosi nel primo pomeriggio in occasione della dodicesima edizione del Festival internazionale del Giornalismo, Matteo Grandi, Salvatore Aranzulla, Cristina Broch e Pinuccio che tra scambi di battute e riflessioni hanno accolto il pubblico riunitosi nella Sala delle Colonne di Palazzo Graziani. 

Matteo Grandi, direttore Piacere Magazine, prende la parola spiegando di aver accolto con estremo entusiasmo l’invito a partecipare all’evento curato da Coca Cola. “Quando parliamo di Fake News l’immaginario comune è abituato a pensare che ci si riferisca esclusivamente al mondo della politica o ad errori riguardanti i singoli utenti dei Social; la realtà è ben diversa: sono soprattutto i media e le grandi multinazionali ad esserne vittima. Oggi la più grande fake news è sicuramente che tali bufale si propaghino solamente attraverso la rete; sempre più spesso la disinformazione transita invece attraverso i media tradizionali.” Spiega Grandi citando l’esempio della diffusione mondiale di una notizia completamente inventata riguardante una bambina, Frida Sofia, trovata miracolosamente viva sotto le macerie a città del Messico.

Pinuccio, attore e regista, affidandosi a delle ricerche sull’argomento, ha voluto riflettere più che sui numeri del fenomeno sull’aspetto sociale: si è chiesto quali sono le notizie che un utente medio è portato a condividere, chi crea la notizia falsa e chi la condivide. “Parlando ad esempio di Coca Cola, vediamo che le persone sono portate a condividere false notizie su grandi aziende probabilmente per una sorta di invidia o frustrazione. Un dato importante è che spesso si accusano le nuove generazioni di non informarsi nel modo giusto, ma in realtà sono gli over 50 i principali propagatori di queste notizie”.

Riprendendo le parole di Pinuccio, Matteo Grandi riflette su come, sempre più spesso, chi diffonde bufale in rete non lo fa per un movente di tipo ideologico, per farci cambiare idea su un tema, ma piuttosto per motivi prettamente economici. “Esistono associazioni e agenzie” spiega “che creano fake news ad hoc per screditare un’azienda colpendo l’opinione pubblica con titoli clickbait.”

Salvatore Aranzulla, un incredibile esempio di credibilità online, racconta la sua esperienza. “Dopo quindici anni di attività, sono riuscito a diventare credibile e mi sono convinto che la chiave sia quella di metterci la faccia, di assumermi la completa responsabilità di quello che scrivo. Cerco di essere per gli utenti un amico, una persona di cui si possono fidare”. A dimostrazione di ciò, Aranzulla precisa che tutte le notizie pubblicate su Aranzulla.it vengono verificate e testate da lui e dai suoi collaboratori. “La credibilità quindi è qualcosa che si può acquisire solamente stipulando un patto di assoluta lealtà e fiducia con l’utente” conclude.

Cristina Broch, direttrice delle comunicazioni Coca Cola, condivide la sua esperienza all’interno di una delle multinazionali maggiormente vittima delle bufale. “Cerchiamo di fronteggiare il fenomeno, facendo continuo monitoraggio e fact-checking delle notizie. Facciamo, però, molti meno interventi o rettifiche sia per cercare di smorzare la notizia e di non aggiungere ulteriore benzina sul fuoco ma soprattutto perché, a differenza di un Salvatore Aranzulla che ci mette la faccia, noi siamo un’azienda e non un singolo ed è quindi molto più complicato mantenere una certa credibilità”.

Concludendo, difendersi dalla fake news non è sicuramente semplice ma neanche impossibile. È necessario che ogni utente riesca a crearsi una solida struttura di alfabetizzazione digitale, che verifichi la notizia prima di condividerla. Solo prendendosi le proprie responsabilità è possibile interrompere questo flusso.

Virginia Morini