RELAZIONI BRUTALI: RUOLO E RESPONSABILITÀ DI MEDIA E PUBBLICITÀ NELLA VIOLENZA DI GENERE

‘Qualcosa non funziona nel sistema di protezione ma, ancora prima, qualcosa non funziona nella nostra società’.
Una Sala dei Notari molto piena ha fatto da cornice alla tavola rotonda moderata da Riccardo Iacona e composta dalla professoressa Elisa Giomi, autrice del libro da cui è stato preso il titolo dell’incontro, da Annamaria Arlotta, attivista e fondatrice del gruppo La Pubblicità Sessista Offende Tutti, e dal vice direttore marketing Rai, Giovanni Scatessa.
Dopo i brevi ringraziamenti di Chiara Centamori, la promotrice dell’incontro, si è subito passati all’analisi del problema che sembra affliggere soprattutto il nostro Paese: la violenza di genere.
Con un’attenta analisi sociologica, la prof.ssa Giomi ha evidenziato come, nella crescita dei maschi, la violenza (sebbene inserita in un contesto ludico) non solo accompagna i ragazzi, ma viene legittimata, quasi celebrata, essendo ritenuta una componente fisiologica dei futuri uomini – ricordiamo che il 92% di coloro che commettono omicidi e femminicidi sono, appunto, uomini.
Il linguaggio con cui i media riportano queste terribili notizie costruisce spesso una cortina di fumo che tende a mascherare la drammaticità di queste realtà, normalizzando il fenomeno ma non solo; l’abilità dei titolisti e dei giornalisti di cronaca può addirittura denigrare maggiormente la vittima (“vittimizzazione secondaria”) o aumentare l’empatia nei confronti dell’assassino, generando quello che il conduttore di Presadiretta ha definito ‘il nostro Afghanistan’.
Un altro aspetto di questa situazione paradossale è costituito dal distacco tra la crescente emancipazione della donna e l’immaginario collettivo dell’italiano medio, quello che viene costruito da pubblicità, canzoni, film o serie tv. A proposito, Annamaria Arlotta ha raccontato, con l’utilizzo di foto e cartelloni vergognosi, la triste trasformazione della donna in mero strumento degli spot, in una ‘transfer tra l’acquirente e il prodotto’. Tutto ciò si inserisce in un processo di svilimento del ruolo del genere femminile, ridotto a caratteristiche quali bellezza, giovinezza e disponibilità sessuale.
In Italia, purtroppo, manca il supporto di politiche attive che cambino, in primis, la scuola (come accade in Germania, dove è stata inserita l’educazione di genere).
Come devono comportarsi i mezzi di informazione per evitare la crescita di questa disuguaglianza, che troppo spesso sfocia in violenze e soprusi? Cosa ha fatto la Rai in questi anni per limitare il fenomeno e dare il buon esempio? Innanzitutto, come ha spiegato Scatessa, ogni programma viene controllato attentamente, e, in caso di imprevisti dovuti dagli ospiti, i conduttori vengono “istruiti” per contenere qualunque mancanza di rispetto.
Comunque, i semi del sessismo sono sempre presenti all’interno dell’intrattenimento, e le cose non potranno cambiare finché non avverrà una rivoluzione della manualistica elementare e dei centri di educazione: i valori, condivisibili e non, sono il fattore più radicato in una società. Come ha giustamente affermato Iacona, ‘non ne usciremo mai se non interviene la scuola’.

Lorenzo Tobia