La guerra e la forza delle donne

In occasione del panel “La guerra e la forza delle donne” Marta Serafini, giornalista de Il Corriere della Sera, ha presentato due reportage che raccontano in presa diretta la vita al di là della frontline.
Il primo reportage presentato è “La forza delle donne”, documentario che mostra senza alcun filtro la vita delle donne a Mosul. A parlarne sono stati gli stessi autori, la giornalista Laura Aprati e il giornalista e documentarista Marco Bova.
Come sottolineato da Bova, il documentario si distingue da altri prodotti dello stesso tipo per il suo essere senza alcun filtro: «abbiamo semplicemente riportato la realtà, non vedrete alcuna voce narrante o didascalie descrittive. Le uniche cose che abbiamo aggiunto sono state informazioni geografiche e temporali.»
Ha seguito poi la presentazione di “Donne fuori dal buio” il web documentary di Sara Manisera ed Arianna Pagani, entrambe reporter freelance. Il reportage multimediale, racconta la vita in Iraq a 15 anni dall’invasione americana. Le protagoniste sono 4 donne provenienti da diverse regioni che si fanno strada in una società sempre più maschilista settaria e ancora profondamente sconvolta dal conflitto. Il medium utilizzato dalle due giornaliste è innovativo: il reportage infatti è raccontato su una piattaforma multimediale che raccoglie fotografie, infografiche e documenti.
Entrambi i lavori sono stati autoprodotti, non commissionati da un giornale, ed incentrati sul punto di vista femminile.
Una prospettiva - quella del racconto della vita dei civili coinvolti dal conflitto- che nonostante sia fondamentale dal punto di vista storico, nei giornali viene sminuita.
« Nel giornalismo è difficile raccontare la quotidianità perché fa clamore solo il grande titolo, l’attentato ha valore se ci sono morti e quindi ci si fa il pezzo. Raccontare la quotidianità è difficile perché si viene accusati di essere leggeri» Ha fatto notare Aprati.
Ma l’incontro è stato anche un’occasione per fare il punto sulla situazione del giornalismo italiano. Le esperienze dei presenti testimoniano come le redazioni italiane tendano sempre più ad escludere i giovani. Tale mancanza fa si che non si investa in nuove forme di linguaggio e contenuti e condanna il giornalismo a perdere qualunque legame con la realtà.

Lucia Marinelli