Perugia, sabato 3 maggio 2014
Stamattina, nella Sala dei Notari, si è parlato di fotografia durante la presentazione del libro di Mario Calabresi: “A occhi aperti. Quando la fotografia testimonia la storia.” Il direttore de La Stampa ha dato il via alla conferenza mostrando un video composto da immagini molto diverse tra loro, ma unite in un quadro dal perfetto equilibrio, che colpisce dritto al cuore: scatti di vita quotidiana, di guerra, di paesaggi, di disastri, di personaggi storici, di realtà a noi vicine e lontane. “Ho scritto questo libro, casualmente, quando Domenico Quirico è stato rapito. Qualche giorno prima che partisse – racconta Calabresi -, avevamo avuto una lunga discussione a riguardo, non volevo che andasse e forse mi sarei dovuto imporre”.
Pietro Masturzo, fotoreporter di OnOff Picture, ha raccontato le elezioni iraniane con le sue immagini: “Sono entrato con un visto turistico, avevo dei contatti nel paese e ho vissuto tutto da dentro”. Una fotografia di due ragazze sorridenti, col velo che lascia scoperto il viso, testimonia il clima precedente alle elezioni. “Dopo due giorni sono stato arrestato, dopo altri tre sono uscito e ho ricominciato a fotografare cercando di essere il più invisibile possibile”. La fotografia con cui Masturzo ha vinto il World Press Photo ritrae due donne su un tetto, una di loro grida per protestare: “Rappresenta Teheran, dove i tetti sono molto importanti e vissuti, ad esempio si possono vedere le antenne paraboliche che sono vietate. Sono stato criticato per il mio reportage, come se fotografare dai tetti fosse stato un espediente per stare lontano dal rischio”.
Davide Monteleone, fotografo, ha lavorato invece nel Caucaso: “La storia si ripete; Praga, la Cecenia, e ora l’Ucraina e la Crimea, questa tendenza russa all’invasione che ritorna. Ho scelto di raccontare l’identità cecena, per i ceceni stessi, dopo dieci anni di guerra, strizzando l’occhio alle autorità e quindi, per la prima volta, chiedendo dei permessi”. Quanto è difficile fare storie dimenticate, invece che seguire gli avvenimenti attuali, quelli delle prime pagine? “Si può andare anche a cercare gli eventi nell’occhio del ciclone, ma poi raccontarli da un punto di vista personale e originale. Io ho la tendenza a seguire cose che mi interessano, e comunque conta molto anche l’esperienza; è inutile che io vada in Venezuela, della quale non so nulla, solo per vincere un premio. Il vero premio è scattare una bella foto”. “I fotografi che racconto nel libro – dice Calabresi – non sono stati catapultati nei luoghi dei loro scatti; ritraggono il loro mondo, quello che conoscono”.
Il terzo protagonista dell’incontro è Riccardo Venturi, fotoreporter, che afferma di apprezzare molto il lavoro di Don McCullin, fotografo britannico: “La forza delle sue immagini è la condivisione tra il soggetto e chi scatta, una sorta di empatia tra le due parti”. Spesso ci si chiede come possa un fotografo non intervenire in certe situazioni, stare a guardare: “McCullin l’ha fatto - dice Calabresi – una volta ha salvato tre marines americani da un cecchino. Questa è, forse, l’empatia di cui parliamo”. Venturi ha lavorato in Afghanistan e ci tiene a esprimere la sua opinione sulla questione della corsa ai premi che, a suo parere, ha un po’ distorto il senso del fotogiornalismo: “Una volta vincere un premio era quasi un caso, una conseguenza di un lavoro fatto bene”. Attualmente Venturi si sta occupando di un progetto a livello italiano, un viaggio nella giustizia minorile e nell’analfabetismo che “pensiamo di trovare solo nelle storie di cento anni fa, ma la realtà è che anche oggi ci sono ragazzi che non sanno leggere”.
“Siamo nell’epoca in cui tutto si brucia velocemente, in 140 caratteri; una volta mi hanno detto che oggi il giornalismo è seguire una storia anche il secondo, il terzo e il quarto giorno”, dice Calabresi. Un esempio di questo sono le immagini scattate da Paul Fusco dopo il funerale di Robert Kennedy: lui sale sul treno che trasporta la salma a Washington, sul quale i ferrovieri decidono di alzare la bara sui sedili perché la folla accalcata sui binari possa dare l’ultimo saluto. Fusco capisce che la storia non è sul treno, ma fuori, che la folla è l’immagine di un’America triste, e decide di fare un reportage; foto di famiglie sui binari, bianchi e neri insieme, anziani, giovani e bambini.“Nel gennaio 2013, mentre Quirico era ad Aleppo, invece che tornare rimase sotto i bombardamenti perché riteneva immorale raccontarli dal confine. Ieri, in questa stessa sala, ha detto che è questo il motivo per cui ammira i fotografi, devono esserci per forza, devono immergersi nel pozzo della realtà, che è poi l’essenza del giornalismo”.
Federica Scutari