ACAB e Diaz il racconto della violenza tra cinema e giornalismo

Sono da poco passate le 21 quando le luci del Teatro Pavone si spengono e sul grande schermo appaiono spezzoni di Diaz - Non pulire questo sangue, l’ultimo film di Daniele Vicari, da aprile nelle sale. Una ricostruzione senza concessioni di quella tragica notte del 21 luglio 2001, durante i giorni del G8 a Genova. Seguono alcune scene di Acab. All cops all bastads, primo film di Stefano Sollima: celerini impegnati in un’infinita guerra quotidiana in cui i soli alleati sono i colleghi, i “fratelli”.
Quando le luci si riaccendono, sul palco hanno preso posto i registi dei due film, affiancati da Carlo Bonini, inviato speciale del quotidiano la Repubblica ed Emiliano Fittipaldi, giornalista investigativo del settimanale l’Espresso. “A Napoli, nel marzo 2001, vidi intere scolaresche di quindicenni e professori, picchiati con i tonfa dalla polizia”, è la sua introduzione. “Una prova generale, ben poco mediatizzata, di quello che sarebbe accaduto quattro mesi dopo alla Diaz”.

Carlo Bonini ha scelto una strada insolita per entrare nella testa degli uomini del 7° nucleo, gli stessi schierati alla Diaz: un romanzo, ACAB (Einaudi, 2009), fonte di ispirazione per il film di Stefano Sollima. “La sfida di questo libro è stato prendere testimonianze e circostanze reali, frutto di lavoro giornalistico, spersonalizzandola il più possibile sino a farne un romanzo”.  Del resto, il racconto giornalistico oggi cerca sempre più di raccontare i fenomeni attraverso storie ed eventi simbolici e rappresentativi. Stefano Sollima, una carriera alle spalle come cameraman di news, riconosce di aver utilizzato un approccio giornalistico, almeno nella fase di documentazione. “Ma un film ha bisogno di personaggi, uomini e conflitti fra uomini”. Per il suo film, Daniele Vicari si è basato con scrupolo sugli atti ufficiali del processo. “Ma ho preferito non usare i veri nomi delle persone coinvolte poiché questo avrebbe significato inchiodare il film alla cronaca”. La volontà del regista era invece farne la metafora del rapporto fra cittadino e potere come è venuto a configurarsi in Italia negli ultimi dieci anni. “Il nostro è il paese della rimozione continua, spiega Bonini. Ma se abbiamo potuto dimenticarci tanto in fretta dei fatti della caserma di Bolzaneto, ad esempio, è perché dentro di noi, quanto è accaduto non ci disturba fino in fondo”. La questione delle responsabilità - che pure Emanuele Fittipaldi avrebbe voluto affrontare col Capo della Polizia Antonio Manganelli, intervenuto al Festival nel pomeriggio - non è più soltanto una questione giudiziaria. “Se gli agenti hanno perso ogni freno inibitorio è perché certi di avere alle spalle un’intera società”, ipotizza Daniele Vicari che invita giornalisti e registi a non cedere mai all’autocensura e a continuare a proporre nuove chiavi di lettura della realtà.

Andrea Paracchini