Si è svolto venerdì 8 aprile presso il Teatro della Sapienza l’incontro “Anas Aremeyaw Anas, sotto copertura contro la corruzione” con Anas Aremeyaw Anas, uno dei più importanti giornalisti investigativi che lavora sotto copertura e combatte contro la corruzione e per i diritti umani in Ghana e in altri paesi. Ha condotto l’intervista Antonella Sinopoli, co-fondatrice e direttore Voci Globali.
È stata Antonella Sinopoli a introdurre l’ospite e l’argomento dell’evento. All’apparizione di Anas Aremeyaw Anas la platea si è profusa di un lungo applauso. Dopo la sua presentazione si è entrato subito nel vivo dell’intervista con la prima domanda, breve e concisa ma che racchiude in sé tutto il lavoro che Anas Aremeyaw Anas svolge: ”Perché lo fai?”. La risposta è nobile e altruista: ” Ho capito che dedicare il mio tempo alle storie di altri era la mia strada perché le storie hanno un impatto forte per la gente”. Al giornalista è stato poi chiesto spiegazioni al suo affermare che il giornalismo investigativo è una necessità in Africa e la risposta fa riflettere: ”Il giornalismo sotto copertura è necessario perché il continente ha cinquanta anni di esperienza nell’indipendenza, abbiamo molti problemi da affrontare e i nostri servizi di sicurezza non sono ben formati; ciò fa si ci possiamo aprire e colmare il divario esistente tra educazione e cultura”. Anas Aremeyaw Anas riassume il suo lavoro con tre parole chiave: nome, vergogna e prigione, cioè fare i nomi, causare vergogna e portare all’incarcerazione. Solo scalfendo i poteri “cattivi” secondo lui il giornalismo ha senso. E all’accusa di non essere etico lui risponde affermando la sua eticità, additando al fare giornalismo investigativo in Africa come vero problema alla base. Alla domanda di Antonella Sinopoli circa la dualità della sua esistenza – da una parte pubblica, unita al suo lavoro, e dall’altra privata – lui ribadisce la scelta fatta e che ogni scelta, specialmente questa così importante, ha un prezzo; nonostante ciò la vede come indispensabile per raccontare le giuste storie dell’Africa di oggi. Sul tipo di vita che vive, nascondendo il suo volto, non ha potuto dire molto. Ha accennato alle guardie del corpo che le istituzioni gli mandano per proteggerlo ma non ha rivelato di più. Circa le tempistiche per portare a termine un’indagine lui svela che gli ci sono voluti anche due anni per alcune. Tra i dispositivi più utilizzati durante il suo lavoro lui cita ovviamente le telecamere nascoste e le maschere che gli permettono di mostrare un volto diverso in base alle esigenze. Sono stati toccati poi i temi riguardanti la violazione della legge, la famiglia e i casi più di successo che ha trattato e quelli invece non riusciti.
Vengono infine mostrati al pubblico una serie di filmati che rappresentano il lavoro e alcune inchieste svolte da Anas Aremeyaw Anas e dai collaboratori che cooperano con lui: le condizioni disumane dei carcerati in Ghana, la vendita di bimbi, giudici corrotti e finti medici che si professano professionisti sono solo alcuni degli esempi.
Antonella Sinopoli termina l’intervento con una domanda che probabilmente tutti si saranno fatti conoscendo la storia di Anas Aremeyaw Anas, ovvero: ”Anas Aremeyaw Anas è il tuo vero nome?”. La risposta, nella sua semplicità cattura: ”Si”.
Tanya De Marzi