Il termometro segna 65.5 gradi sotto lo zero, ma la temperatura percepita sulla pelle a causa del vento è di -86 gradi; le ore di buio sono dodici, ma fra un mese esatto e per i successivi novantatré giorni la luce del giorno illuminerà il cielo, la pressione atmosferica è bassissima ed una partita a ping-pong è praticamente impossibile. Non si tratta di un romanzo distopico o dell’ultima serie TV su Netflix, ma delle condizioni di isolamento a cui un’equipe di tredici persone ha deciso di sottoporsi dallo scorso febbraio in Antartide. La base italo-francese Concordia si trova su un territorio piano e piatto, a circa novecento metri di altezza dal livello del mare e non nasconde segni di stress psicofisico durante la skypecall che è stata effettuata questo pomeriggio presso il Centro Studi G. Alessio alla presentazione della conferenza Antartide: ai confini sul web. Ha preso parte alla discussione un comitato scientifico composto da ricercatori, oceanografi, studiosi e giornalisti con una passione comune, l’Antartide.
Ma perché l’interesse per una parte ai confini del mondo desta tanto interesse e tanta preoccupazione? L’Antartide, incontaminato com’è, si presta in maniera inequivocabile alla verifica dei danni causati dall’uomo e alla valutazione dei cambiamenti climatici in tutto il mondo. Massimo Frezzotti, dirigenti di ricerca presso l’ENEA e Presidente del Comitato Glaciologico Italiano, spiega come, attraverso lo studio di alcuni campioni prelevati dal ghiaccio antartico, sia stato possibile risalire alle condizioni atmosferiche a cui il mondo era sottoposto ottocento anni fa: l’emissione di gas effetto serra è preoccupantemente alta rispetto al passato e, cosa assai più grave, è di duecento volte più veloce di qualsiasi altro fenomeno naturale e non mai registrato.
Da qualche anno l’Antartide è meta anche di numerosi giornalisti e freelance interessati a raccontare perché e come ciò che accade nel mondo parte dal ghiaccio. Il numero dei racconti che vieni dai confini dal mondo, tuttavia, è ancora troppo esiguo in relazione alle urgenze a cui l’uomo deve far fronte. Durante la conferenza studiosi e giornalisti hanno, infatti, discusso a lungo di come avvicinare il pubblico e soprattutto la generazione giovane alla scienza, “e se, per riuscire nell’intento bisogna fare ricorso ad espedienti di folklore e di colore, come foche e pinguini, la stampa non dovrebbe vergognarsene”, afferma il capo ufficio stampa del CNR, Marco Ferrazzoli.
E’ tempo che il giornalismo si occupi maggiormente dei temi ambientali e faccia da tramite tra la comunità scientifica e i cittadini, affinché questi ultimi premano su governi e istituzioni perché vengano implementate politiche ambientali volte a combattere i cambiamenti climatici, e a destinare quantità maggiori di fondi nazionali da destinare alla ricerca.
A questo proposito, Adele Irianni punta del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, ricorda che visitando il sito www.italiantartide.com è possibile essere selezionati come giornalisti in una delle spedizioni in Antartide presso la base italiana Mario Zucchelli.
Se è vero che con la ricerca estrema si recupera, almeno con l’immaginario la grande avventura di Ulisse, con l’informazione sulle spedizioni ai confini del mondo si può forse recuperare questo grave deficit tutto italiano in termini di cultura scientifica.
Emilia Sgariglia