Attivismo e informazione: come le nuove tecnologie muovono le rivoluzioni

La rivoluzione si fa in piazza e dalla poltrona. Con i fogli di carta e con Twitter. Queste le conclusioni dei partecipanti al convegno attivismo e informazione: la Primavera Araba, Occupy Wall Street e oltre, tenutosi nel tardo pomeriggio al Centro Servizi Alessi. Moderato dalla social media curator Claudia Vago, la panel discussion è stata aperto da Giovanna Loccatelli, giornalista e scrittrice: “l’informazione è passata moltissimo attraverso i social network perché la struttura di base era ben formata. I blogger nordafricani, ad esempio, si conoscevano tutti già da tempo. La novità è stata nell’applicare tattiche di marketing strategico sia per portare i giovani in piazza sia per creare un attivismo da poltrona”.

Riccardo Staglianò, tra le firme più importanti di Repubblica, ha però precisato che “in America, per Occupy Wall Street, si parla di rivoluzione vera. I manifestanti non vogliono sentir parlare di gente che lavora solo dalla poltrona. Non bisogna prendere per vera la semplificazione fatta dai media di rivoluzione di Facebook o Twitter. Altra parola tabù è leader: ditelo a qualcuno di loro e non vi concederà mai un’intervista”.

Ivan Marovic, attivista, che fece cadere Milosevic in Serbia agli inizi del Duemila, svela che il lavoro alla base è lungo e faticoso: “il movimento parte da lontano, nasce da azioni di protesta, e si prolunga negli anni. L’obiettivo è avere maggior partecipazione in modo da avere minore forza repressiva. Per aumentare i numeri servono azioni eclatanti, atti simbolici che ti fanno conoscere”.

John Oakes, tra i più presenti a Occupy Wall Street, ha creato un libro che mette insieme i più importanti tweets di quei giorni: “L’unione tra i mezzi fa la forza. Quelli vecchi sono serviti molto: penso a come i dimostranti si siano riuniti grazie a delle fotocopie fatte girare e che al posto dei microfoni, vietati, abbiano usato la voce. Non dobbiamo pensare che la tecnologia sia perfetta. Mubarak, ad esempio, aveva dei sistemi per bloccare la rete. Cosa che avviene ancora oggi in diversi paesi”.

Sebastian Donzella