Automatizzare la verifica: fino a dove possiamo arrivare?

Tra le numerose innovazioni che la tecnologia ha innescato nel mondo del giornalismo, vi è anche quella relativa all'automatizzazione della verifica delle informazioni. Ma fino a che punto il giornalista può affidarsi agli algoritmi per il fact-checking? E quali sono i principali vantaggi che può trarre da essi? Di questi temi hanno discusso giovedì pomeriggio alcuni esperti del settore, durante una panel discussion all'Hotel Brufani: Jenni Sargent, direttrice dell'Eyewitness Media Hub; Douglas Arellanes, co-fondatore e direttore dell'innovazione di Sourcefabric; Sam Dubberley, co-fondatore dell'Eyewitness Media Hub e ricercatore al Tow Center for Digital Journalism della Columbia University; Jochen Spangenberg, coordinatore della squadra di ricerca e innovazione di Deutsche Welle; Mark Stencel, condirettore del Duke Reporters' Lab.

I cinque speaker hanno introdotto al pubblico in sala una serie di progetti e tools volti ad aiutare il fact-checking del giornalista col supporto dell'innovazione tecnologica.

Spangerberg ha presentato i progetti Reveal e InVID. Quest'ultimo, in particolare, si occupa dell'automatizzazione della verifica dell'attendibilità dei file video. “Quello della verifica dei video è un terreno finora inesplorato. I giornalisti spesso non hanno gli strumenti adatti a questo tipo di fact-checking: il progetto InVID ambisce a fornire loro questi strumenti”.

Dubberley ha sottolineato l'importanza della verifica dei contenuti specialmente in corrispondenza di grandi eventi drammatici come gli attacchi terroristici: “ogni volta che si verificano eventi di questo tipo, assistiamo alla riproposizione ciclica degli stessi contenuti. Un esempio recente: l'immagine della torre Eiffel illuminata coi colori del Pakistan diffusa sui social in seguito alla strage di Lahore”. Ha quindi presentato il Verified Pixel Project. “Il suo obiettivo è quello di aiutare le redazioni a verificare l'autenticità delle fotografie. Viene introdotta un'immagine nel sistema, si fanno le verifiche opportune, e viene fornito un responso. I giornalisti possono venire a conoscenza in tempi rapidi di una serie di informazioni: dove e quando è stata scattata la foto, con quale tipo di macchina fotografica, quali impostazioni aveva la macchina fotografica al momento dello scatto, se la foto è un file originale o è stata aperta da programmi di editing come Photoshop”.

Arellanes ha parlato di Vision API, un programma offerto da Google, e in particolare del tool “Face Detection”: “il riconoscimento dei volti è uno dei settori che oggi sta conoscendo gli sviluppi più interessanti”. Altri strumenti utili per l'analisi di documenti, visivi o testuali, sono Google Inception, TensorFlow, Imagga e Bot or Not?; quest'ultimo tool analizza i post pubblicati da un account social e giudica il suo grado di autenticità.

Stencel ha presentato un progetto, ClaimBuster, finalizzato al fact-checking delle dichiarazioni politiche. “Riesce a capire se una cosa che viene detta è realistica o assurda”. Sargent, invece, ha parlato di First Draft, uno strumento che può aiutare il giornalista nella verifica sia di immagini sia di video.

In coda all'incontro, gli speaker hanno discusso di alcune implicazioni dell'automazione del processo di fact-checking: la tecnologia può certamente velocizzare i processi di verifica, ma potrà mai, in futuro, sostituire totalmente il controllo del giornalista? Si potrà, grazie a tools sempre più raffinati, evitare il cosiddetto double-checking, cioè la doppia verifica dei documenti, sia automatizzata che umana? Il parere dei cinque esperti è negativo. “Ci dovrà sempre essere un elemento umano, il fact-checking non potrà mai essere completamente in mano alle macchine”, ha precisato Spangerberg. “Il giornalista giocherà sempre un ruolo fondamentale in questo processo. Tuttavia, le potenzialità di questi strumenti sono enormi. Consentono di analizzare quantità di dati a una velocità impensabile per il singolo giornalista”.

Daniele Conti