Il nuovo modello delle cooperative giornalistiche è stato al centro del dibattito che ha animato uno dei primi eventi della terza giornata del Festival Internazionale del Giornalismo a Perugia.
“Benefici reciproci: una nuova generazione di cooperative di giornalismo” è il titolo della tavola rotonda, che ha raccolto alcune delle più interessanti esperienze a livello internazionale. Provenienti, tra gli altri, da Belgio, Egitto, Grecia e Scozia, sono oggi monitorate tramite l’account Twitter Media Co-ops.
Ma come funzionano e quali sono le reali potenzialità di sviluppo di queste nuove realtà imprenditoriali e associative? Primo a prendere la parola, su invito del moderatore Sameer Padania, consulente Macroscope, è Marc Herman, cofondatore Deca, collettivo di scrittori che raccoglie collaboratori da tutto il mondo. “Il percorso di Deca inizia nel 2014. Obiettivo, fare insieme ciò che un freelance da solo non avrebbe mai la possibilità di realizzare. Finora abbiamo prodotto otto storie, comprese tra le 10 e le 20 mila parole, con un riscontro di visibilità anche sui media mainstream”.
Dall’Università di Dublino arriva Eugenia Siapera, che presenta le cooperative di giornalismo come una risposta efficace a un momento di crisi della professione: “I giornalisti avevano bisogno di superare la frustrazione derivante dall’impossibilità di produrre contenuti di valore. Ecco che questo nuovo modello punta nuovamente alla qualità, ripristinando un rapporto di fiducia con il lettore”. Dello stesso avviso è Ally Tibbitt, direttore e fondatore The Ferret, una cooperativa specializzata in inchieste di pubblico interesse: “Miriamo a riconquistare credito da parte dei media, costruendo un rapporto di trasparenza, sia sul piano editoriale che finanziario”.
Fact checking, diritti umani, asilo politico, sono solo alcuni dei temi trattati da The Ferret, superando la crisi dell’informazione derivante da un sensazionalismo sempre più ricercato dalle imprese mediatiche più tradizionali. Ma il business è parte integrante di queste organizzazioni, slegate comunque dalla realtà delle non profit. Per Bram Souffreau, co-fondatore di Apache.be: “Gli utili sono un’esigenza. Ma nel nostro caso, ad esempio, siamo obbligati da Statuto a reinvestirne il 50% sullo sviluppo di nuove attività. Per garantire la sostenibilità, il nostro modello combina il sostegno di azionisti e abbonati. Ad oggi sono circa 3 mila gli abbonamenti sottoscritti per il nostro sito”.
L’incontro si è chiuso con una riflessione collettiva su proprietà e media, differenze con sistemi tradizionali e previsioni di crescita del modello. Ampia la partecipazione della sala, interessata a un’alternativa in grado di preservare il valore e l’importanza dell’attività giornalistica.
Annalisa Masi