Con l’affermazione del nuovo mercato dell’attenzione digitale, in cui un numero sempre crescente di soggetti concorrono fornendo grandi quantità di informazioni, le aziende stanno percependo la necessità di giocare un ruolo diverso in questo ecosistema della comunicazione.
Su quale sia lo spazio che i brand possono occupare in questa dimensione – già abbondantemente sovraffollata da media principali (e sempre più in crisi) – si è discusso sabato mattina presso la Sala del Dottorato, durante la panel discussion moderata da Daniele Chieti, che ha dato la possibilità a Carlo Fornaro, Diomira Cennamo, Marco Alfieri, Antonio Pavolini e Pier Donato Vercellone, di esporre ai presenti la tematica del brand journalism.
Le aziende, di fatto, al giorno d’oggi stanno mutando, evolvendo e cambiando in media companies, essendo ormai impossibile per loro sopravvivere puntando esclusivamente sui propri prodotti; le modalità pubblicitarie monodirezionali non possono più pretendere di essere efficaci nel mondo di internet e dei social network, e così i brand sono quasi costretti a puntare su una tipologia di contenuto che renda più diretto e coinvolgente il rapporto con i fruitori.
È necessario tuttavia tenere distinta la comunicazione d’impresa con quello che tradizionalmente è inteso come giornalismo: il rinnovamento delle pratiche di branding non rende i propri esperti dei giornalisti – anche se questi possono provenire da quella realtà e affermarsi come brand reporter di successo – ma utilizza semplicemente la stessa “cassetta degli attrezzi” pur mantenendo un obiettivo completamente differente.
Non bisogna, quindi, attribuire alle aziende la momentanea crisi che molte testate stanno attraversando perché, come hanno precisato gli esperti, l’era del digitale permette a tutti di potersi ritagliare il proprio spazio, basta solo sapersi adattare.
Lorenzo Tobia