Che cosa è davvero una guerra: la testimonianza di due grandi fotoreporter

Per raccontare una guerra è fondamentale esserci: questo è quanto hanno sottolineato Paul Conroy, fotogiornalista e documentarista inviato nelle zone di guerra per BBC, Sky TV e Sunday Times, e Nicole Tung, fotogiornalista inviata per The New York Times, Stern Magazine e Le Monde, alla tredicesima edizione del festival del giornalismo.
Come afferma Conroy, in un’epoca in cui tutto accade velocemente, mancano la conferma e l’approfondimento che possono esserci solo quando si è fisicamente presenti sul campo. Quando Conroy si trovava in Siria con la giornalista Marie Colvin, poi uccisa mentre seguiva l’assedio di Holms, ha ricevuto un video girato in una sala piena di corpi decapitati. Decide di non pubblicare il video perché scopre che è il Messico il teatro dell’accaduto ad opera dei narcotrafficanti: probabilmente tale rivelazione non sarebbe mai arrivata se non si fosse trovato sul luogo.
Tung sottolinea l’importanza delle donne sul campo. Infatti, molto spesso ci si trova ad operare in società in cui è fortemente radicata la concezione patriarcale, dove uomini e donne non possono stare a contatto: essere una donna sul campo significa raccontare la storia anche dal punto di vista femminile, svelare l’altra faccia della medaglia. Inoltre, le donne sono le persone più coraggiose: danno ospitalità, cibo e riescono a fare sentire a casa in un contesto così difficile.
Fare i fotoreporter di guerra non è certamente facile. La difficoltà non ha a che fare unicamente con la sopravvivenza e con l’esercizio della professione nei luoghi di guerra, ma si sconta anche nella fase successiva al conflitto, al momento del rientro a casa. Si tratta di disturbi da stress postraumatico e come affermano i due fotogiornalisti è di estrema importanza riconoscere la condizione e farsi aiutare nella risoluzione. Prima di affrontare un nuovo conflitto è necessario superare il trauma precedente.

Serena Giovanna Grasso - volontaria press office IJF19