Questa settimana in RoundUp: come si raccontano - o non si raccontano - le notizie, dal punto di vista etico, giornalistico, tecnico. I post sulla crisi in Ucraina alla prova della scrittura per il web; il racconto dal vivo e la verifica delle fonti tratte dai social network; i live video che non funzionano e «l’anno in cui i siti diventarono tutti uguali».
Come (non) raccontare la crisi ucraina in rete
Da settimane le proteste e le violenze di piazza a Kiev dominano il panorama informativo. Questo interesse dei media online per la crisi ucraina, e il modo (tra il tragico e il frivolo) in cui questa viene raccontata, hanno spinto Sarah Kendzior a chiedersi sul magazine di Politico quando e come è cominciata questa ossessione, in un brano dal titolo «Il giorno in cui abbiamo finto di interessarci all’Ucraina». L’autrice addita la tendenza dei media digitali a definire la situazione con l’aggettivo «apocalittica» e al raccontarne gli eventi attraverso richiami catchy e foto particolarmente evocative, che tendono a spettacolarizzare i fatti alla ricerca di qualche visualizzazione in più. Business Insider, Talking Points Memo, BuzzFeed, Mashable, Huffington Post, si sarebebro resi protagonisti di una sorta di riduzione a listicle di vicende per nulla leggere e di immediata comprensione (Kendzior parla infatti di apocalypsticle), rese solo attraverso immagini vivide in sequenza, qualche numero e nessuna spiegazione esauriente del contesto. Secondo l’autrice queste testate farebbero fondo alla fascinazione da disastro (il disaster porn, la stessa che muove l’attenzione verso foto come quelle della seconda guerra mondiale) ignorando cosa potrebbero fare per gli ucraini attraverso un onesto lavoro giornalistico, ma badando piuttosto «a cosa gli ucraini possano fare» per loro - secondo l’autrice, un bel po’ di visite in più.
Emily Bell sul Guardian affronta la questione, ponendola in altri termini: l’utilizzo di immagini a fini sensazionalistici e il relativo disinteressamento per il contesto generale non sono pratiche nuove, né tanto meno un portato del giornalismo online - che comunque ne rende molto più semplice la cattura e la diffusione (qui una riflessione di Steve Buttry sull’idea di rigorosità nel giornalismo digitale e in quello classico). Tuttavia l’autrice si chiede: è troppo superficiale usare, per articoli complessi di questo tipo, le stesse tecniche di racconto usate per scrivere di «cavalli che somigliano a Miley Cyrus»? «Per il pubblico più giovane, o quelli ai quali i media mainstream si rivolgono, una cosa è certa: che l’esplorazione di temi a loro alieni - come quello della crisi a Kiev, nda - molto difficilmente cominceranno da un articolo di 5000 parole su Foreign Policy». Attori come BuzzFeed, Vice, PolicyMic hanno il pregio - continua - di attrarre pubblico giovane, e portare a loro tematiche - come il «conflitto» - che faticosamente sarebbero state avvicinate in altro modo («we all must start somewhere»). Che questo sia un male necessario destinato a desensibilizzare pubblico e media, o piuttosto un beneficio, è tema che «richiede maggiori approfondimenti» - conclude Bell.
L’aggiornamento live e la verifica delle fonti
foto via
Proprio dall’Ucraina sono partiti numerosi contenuti amatoriali (i cosiddetti user generated content) che hanno ovviamente bisogno di essere verificati prima di farne un utilizzo di carattere giornalistico. Su Editor’s Weblog William Pimlott ha chiesto al giornalista di Storyful Alan O’Riordan quale sia il metodo migliore per fare ordine - e pulizia - fra migliaia di contenuti live, e amatoriali, da verificare. Storyful è infatti una piattaforma nata per aiutare le testate (per esempio BBC, Al Jazeera, Wall Street Journal) a verificare i contenuti provenienti dai social media, e che è stata acquistata lo scorso dicembre da NewsCorp per 18 milioni di euro. O’Riordan afferma di utilizzare liste Twitter che cura personalmente, tenendo d’occhio gli utenti che sa essere sul campo e cominciando a fare una scrematura di quelli che possono essere ritenuti più credibili a verifiche fatte (anche grazie all’utilizzo di strumenti dedicati a loro disposizione). A quel punto sarà possibile fare affidamento su un gruppo di persone più ristretto, dalle quali però bisognerà ancora capire - aggiunge O’Riordan - se i video siano effettivamente di loro proprietà: la maggior parte del materiale - continua - è certamente pertinente, ma non è detto sia stato prodotto da chi lo pubblica online, con conseguenti problemi di copyright nel caso in cui non si possa attribuire con certezza la paternità del materiale a chi lo ha condiviso: è fondamentale arrivare alla fonte originale, per contattarla e ottenere i permessi necessari.
Tra le novità del racconto degli eventi dal vivo c’è anche quella di Reddit. La piattaforma sta infatti testando la versione beta di uno strumento che consentirà di pubblicare aggiornamenti in live blogging - una mossa che definiscono cruciale per lo sviluppo dell’«opensource journalism». La piattaforma, accessibile solo per alcuni utenti ma il cui utilizzo verrà poi aperto a tutti, è stata finora provata su due diversi topic: un esperimento con migliaia di persone su un vecchio videogame dei Pokémon («A kind of stereotypical Reddit discussion», suggerisce Mathew Ingram) e - appunto - le rivolte in Ucraina, raccontate in real time nel thread /r/UkrainianConflict. Risultato grafico e tecnico sono ancora da migliorare, ma lo sviluppo sembra essere continuo e piuttosto trasparente grazie a un post pubblico, nel quale programmatore e beta-tester ne hanno commentato l’utilizzo cercando di implementare quasi in tempo reale le nuove funzioni. Malgrado Reddit venga spesso associato - giornalisticamente - all’erronea identificazione dell’attentatore di Boston, per Ingram questo strumento può essere utile ad avvicinare ulteriormente la pratica giornalistica a un più vasto pubblico, giacché - citando Jay Rosem di FirstLookMedia - «journalism gets better when more people are doing it», l’«aiuto del lettore» fondamentale al processo di costruzione e divulgazione delle notizie evocato dal fondatore di Gawker Nick Denton, intervistato questa settimana su Playboy.
La ricerca di un formato ideale per le notizie
La notizia online, com’è noto, ha sempre bisogno di nuovi formati, di metodi sempre più intuitivi, economicamente produttivi e seducenti per i lettori, di raccontare storie. Uno di questi è quello del live video, analizzato questa settimana su Politico. Dylan Byers cita alcuni degli esempi poco fortunati: quello del Washington Post, per esempio, così come di New York Times e Wall Street Journal: tutte testate che hanno provato con mano quanto creare una live tv sia economicamente svantaggioso (il Post aveva investito nel progetto milioni di dollari) e spesso non attraente per lettori e inserzionisti («Video would not be the savior of online journalism»). Il modello della tv tradizionale, su internet, semplicemente non funziona, costa troppo, richiede immense risorse e quasi sempre non corrisponde alle aspettative economiche: «abbiamo capito subito che (…) saremmo stati solo una “brutta CNBS”: la CNBC fa già una “buona CNBC”, non ci sono ragioni per farne una versione brutta» ha spiegato a il fondatore di Business Insider Henry Blodget a Byers. Un’alternativa è cercare nuovi format, creare tanti diversi contenuti che possono sopravvivere, da soli, nel mare dell’offerta online: re-impacchettare i segmenti dei video, per esempio, e pubblicarli sul sito dopo che sono andati in onda: è la tecnica usata da HuffPost Live, che vanta - stando al presidente Sekoff - 111 milioni di visualizzazioni video (gennaio 2014).
Si tratta di contenuti che possono essere fruibili anche da dispositivi mobile, un trend reso necessario da dati che parlano di una crescente tendenza al consumo di news in mobilità. E i siti d'informazione si stanno adeguando: la corsa al responsive design (la costruzione di siti adattabili alla lettura su qualsiasi dispositivo) avrebbe portato tutte le testate, secondo Robinson Meyer su The Atlantic (in «The year most news home pages looked the same»), a uniformarsi a un solo modello: «Box. Image. Text». Joshua Benton su NiemanLab parla addirittura di «piaga» della rettangolizzazione: è così per BloombergView (appena presentato, e esempio che ha scatenato il dibattito), NBC News, Gothamist, TheVerge, Vocativ, Digg, Slate e molti altri. Un fenomeno che vorrebbe costruire siti mobile e desktop con una sola struttura facilmente adattabile (le forme geometriche), e che rischia seriamente di contagiare l’informazione sul web.
Sempre su NiemanLab, Joseph Lichterman presenta l’esempio di Rookie, sito sportivo che sta cercando un nuovo tipo di racconto: i rettangoli non mancano, ma all’interno, dopo una breve introduzione, si trovano soltanto citazioni: si prende un evento, si inserisce il commento di diversi personaggi e si costruisce la pagina (così). Ogni aspetto della notizia diventa in questo modo condivisibile (dall’articolo intero alle singole frasi) creando una nuova forma di «atomizzazione» delle news.