photo by Vincenzo Bevivino
Europa o no. Non è solo il titolo del nuovo libro di Luigi Zingales presentato al Festival Internazionale del giornalismo di Perugia. Ma, in vista delle prossime elezioni europee del 25 maggio, è anche la domanda che i partiti del vecchio continente porranno a ogni elettore. «Con questo libro siamo davanti a una scelta, quindi?» chiede subito Federico Fubini, giornalista di Repubblica, che insieme all'autore ha discusso del libro davanti a una platea affollata.
In un dibattito pubblico in cui da una parte l'Europa è vista come un dogma religioso mentre dall'altra «la bestemmiano con critiche eccessive», Zingales dice di posizionarsi nel mezzo. «L'obiettivo del mio libro – spiega l'economista – è spiegare l'Europa, con i suoi costi e benefici». Tra i pregi maggiori viene elencato quello di un mercato comune «che è una cosa meravigliosa a cui tendere». Ma la fiducia verso le istituzioni europee si è abbassata continuamente negli anni, arrivando all'attuale 25%. Un dato che per Zingales è collegato al fatto che l'Europa è «anche un risultato di compromessi politici che si muovono al di sopra della teste dei cittadini». Una disaffezione politica che colpisce anche la moneta unica che pur con i suoi vantaggi è troppo legata fin dalla sua nascita all'economia tedesca.
Secondo Zingales questo non significa che l'uscita dall'euro possa «risolvere i nostri problemi nel lungo periodo». «Forse nel breve – precisa – ma comunque non è facile farlo». Da qui l'economista propone possibili soluzioni: «Ci deve essere una forma di redistribuzione fiscale che permetta una rete di protezione contro la disoccupazione a livello europeo pagata con i soldi europei». Un'operazione popolare che può far aumentare la fiducia, «perché la gente vede un segno tangibile provenire dall'Europa». Inoltre, continua Zingales, «abbiamo bisogno di due euro. Uno del nord e uno del sud». Questo per contrastare l'attuale situazione critica che «alla Germania va benissimo così com'è».
Federico Fubini ribatte però che ogni Paese dovrebbe concentrarsi soprattutto sulle proprie colpe e non solo su quelle di un'istituzione sovranazionale. «La disoccupazione sta scendendo in Spagna, in Portogallo, mentre ciò non accade in Italia, come in Francia». Per il giornalista di Repubblica il problema fondamentale non starebbe nell'euro in sé, ma in strutture istituzionali incoerenti (ereditate dal passato) con quelle europee. «Da noi, ad esempio, - precisa Fubini – lo schema piramidale del sistema pensionistico non può funzionare. Basti pensare che noi abbiamo 1 milione di persone con una pensione di 26.000 euro mentre in Germania sono 5.000». Ecco perché per Fubini il sistema Paese deve riconquistare una credibilità politica, approfittando del fatto che durante la crisi «l'Europa è riuscita a innovarsi, adattandosi al meglio alla crisi». «Pensiamo al fatto che a livello europeo era stato detto che non ci sarebbero stati fondi di salvataggio, mentre alla fine ne abbiamo avuti ben due».
Sul cambiamento portato da un periodo di difficoltà economica-politica punta anche Zingales, anche se fa presente che molti politici stanno giocando con il fuoco. «Un possibile referendum sull'euro, ad esempio, porterebbe al fallimento immediato delle banche». Ma per l'economista non bisogna dimenticare che l'attuale configurazione dell'Europa ha fallito. «La ristrutturazione del debito greco è stata ad esempio una porcheria, per come è stata fatta. In sostanza, è stato un aiuto alle banche tedesche e francesi esposte in Grecia». Ecco perché per Zingales chi denuncia lo strapotere finanziario in Europa ha ragione, anche se lo fa con toni populistici «come Grillo». L'auspicio con cui si chiude il panel è che il cambiamento di questa Europa possa avvenire con il consenso, perché «le fughe in avanti hanno ripercussione antidemocratiche».