con Michele Giuttari (scrittore) e Alvaro Fiorucci (Tgr Umbria)
Nella sala del Centro Servizi Alessi si è tenuta la presentazione del libro Confesso che ho indagato di Michele Giuttari, edito da Rizzoli.
L’ultima fatica di Giuttari è un racconto autobiografico del poliziotto che ha avuto la fortuna di indagare sui fenomeni criminali più importanti che hanno interessato il nostro Paese in epoca recente.
Circa 70 casi in 12 anni: dai primi incarichi in Sardegna alle indagini sui sequestri di persona in Aspromonte ad opera della ‘ndrangheta, passando per il celebre caso del Mostro di Firenze.
Il racconto è nato dalla necessità di parlare della sua storia, di confessarsi, come si evince dal titolo, di rivelare la sua vita da cittadino e investigatore allo stesso tempo. Dalla lettura della sua opera si comprende chiaramente come un investigatore dovrebbe comportarsi, “sporcandosi le mani” come lui stesso tiene a precisare.
E proprio grazie alla sua lunga esperienza, Giuttari non risparmia critiche nei confronti degli investigatori che hanno operato nell’ambito dei casi di cronaca italiana degli ultimi anni. Sulle indagini scientifiche: “ le indagini vanno fatte con strumenti tradizionali, coniugati con esiti scientifici. Non possono basarsi solo sulla scienza, perché la scienza è sempre soggetta a variazioni, può essere solo un supporto, ma l’investigatore deve far leva principalmente sulla propria intuizione.” Sul processo Kercher assicura: “se mi fossi trovato io ad operare, lo avrei fatto diversamente. Sarei entrato sulla scena del crimine senza sapere quando ne sarei uscito. Avrei compiuto accertamenti senza lasciare ombre. Non avrei ritrovato quel gancetto dopo 45 giorni.”
Sollecitato dal moderatore Fiorucci, Giuttari ha colto occasione per evidenziare le lacune del sistema giudiziario italiano, sostenendo che “non avremo mai buoni processi senza un’ adeguata formazione e strumenti adeguati in mano agli ufficiali di polizia giudiziaria. È inoltre inaccettabile che per acquisire un tabulato la polizia giudiziaria debba fare richiesta al pm, che deve girarla al gip, poi notificarla alla società telefonica mettendosi in coda nelle richieste, per poi ottenere il tabulato dopo settimane o mesi, quando semmai nel tabulato c’era la soluzione del caso.”
Le lacune del sistema giudiziario, come ha evidenziato lo stesso Giuttari, si sono manifestate peraltro anche di recente con l’attentato al Tribunale di Milano, dimostrando plasticamente quanto sia necessario affidare il settore della vigilanza alla forza pubblica, piuttosto che appaltarlo a società private.
Dal suo racconto trapela un forte orgoglio per il suo operato nel corso della lunga carriera, con senso del dovere e intuito come accadde quando la sua attenzione fu colpita da una chiamata effettuata a Firenze da Gaspare Spatuzza (cita il numero di telefono a memoria), non valutato in maniera esatta dalle indagini precedenti. Questo ha portato in appena 4 anni alla condanna dei responsabili delle stragi di mafia del ’93. “Se non avessi avuto quell’intuizione, sarebbero stati condannati tre innocenti”, sostiene.
Giuttari ha chiuso il suo lungo discorso con rabbia, raccontando della denuncia per calunnia subita nell’ambito delle indagini sui mandanti del Mostro di Firenze: “alcuni membri delle istituzioni dovrebbero semplicemente vergognarsi. Il Procuratore Capo di Perugia ha autorizzato un sequestro in casa sua, violando la legge e questo non ha precedenti.”
“L’indagine non poteva andare avanti. O lo ammazziamo o gli togliamo il giocattolo: questo è quello che confesso!”
Confesso che ho indagato è un grido di rabbia.
Leonardo Vaccaro