Cosa significa fare giornalismo in Egitto: dalla rivoluzione araba ad Al-Sisi

La libertà di stampa in Egitto è ogni giorno messa a dura prova dal governo di Al-Sisi. Eppure forme di organizzazione cittadine ed organi di stampa indipendenti riescono ancora a sopravvivere e forse hanno aumentato la loro capacità di espressione dopo l’assassinio di Giulio Regeni avvenuta appena un anno fa. I giornalisti raccolti questo pomeriggio nella Sala del Dottorato hanno ripercorso l’evoluzione del giornalismo in Egitto dalle rivolte di piazza Tahrir fino all’ascesa dell’ex-generale Al-Sisi, cercando di cogliere tutte le difficoltà per lo svolgimento della professione in un Paese che sta attraverso una profonda crisi economica e una potenziale svolta politica autoritaria. Lina Attalah, cofondatrice e direttrice di Mada Masr, testata online impegnata nel ripensare il ruolo dei media in Egitto, traccia la drammatica situazione dei relativi organi di stampa. Dal 2000 al 2011 i giornalisti egiziani godevano di una certa libertà di espressione supportata anche da tutti i cittadini egiziani coinvolti nella Primavera araba: durante quegli anni, infatti, la maggior parte delle organizzazioni mediatiche hanno attivamente partecipato alle manifestazione in piazza, e a questa mobilitazione è seguita l’apertura di altre organizzazioni e reti di attivisti alle rivendicazioni per una maggiore democrazia del Paese. Nel 2013 si è registrata una preoccupante inversione di tendenza che ha segnato l’inizio della fine della libertà di stampa in Egitto: le rivolte non avevo più copertura mediatica negli spettacoli televisivi e molti proprietari di agenzie di comunicazione e di stampa hanno cominciato ad appoggiare la campagna elettorale di ispirazione conservatrice di Al-Sisi. Questi fattori hanno fortemente inciso sul ridimensionamento della libertà di stampa dei giornalisti egiziani e stranieri. Daclan Walsh, corrispondente da poco più di un anno al Cairo, sottolinea quanto sia complicato poter svolgere normalmente il suo lavoro nella capitale: “E’ un luogo difficile per un corrispondente estero: ci sono molti controlli, le autorità forniscono a ciascuno di noi dei pass, ma anche con questi ultimi non è garantito il pieno svolgimento delle nostre attività. La vox populi non emerge. E’ possibile, per esempio, che se uno di noi entra in un bar per chiedere informazioni necessarie ad un articolo, poco dopo arriva la polizia che chiede delle credenziali, e in questo caso il procedimento può durare anche qualche ora; o peggio, può succedere che i proprietari del caffè ci sbattano semplicemente fuori dal locale o che i cittadini decidano che tu non gli piaci e ti chiedano di allontanarti dal posto. Le opportunità di creare notizia o di riportare una corretta informazioni sono quindi molto scarse”. Una situazione già così drammatica, secondo Walsh, è ulteriormente aggravata dalla presenza di giornalisti egiziani filo-governativi che attaccano indiscriminatamente la stampa straniera, demonizzandola e impedendone il lavoro.
Lina Attalah, inoltre, ricorda quanto ancora più difficili e pericolose siano le condizioni in cui i giornalisti egiziani lavorano: “Molti miei amici e colleghi sono in carcere, e tra i pochi privilegiati, come me, si sta pian piano diffondendo una sorta di auto-censura motivata dalla paura di trascorrere il resto della vita dietro le sbarre, o peggio, di venire uccisi”.
I relatori, tuttavia, lasciano il pubblico con una speranza: l’Egitto sta attraverso una grave crisi economica e le promesse di ricchezza e grandezza del governo di Al-Sisi sono state ampiamente superate: la realtà tradisce il sogno, e fra gli egiziani serpeggia un sentimento di malcontento che, forse, presagisce una nuova ondata di rivolte e rivendicazioni. “Il governo e il potere personale di Al-Sisi si basano sulla sicurezza e sulla stabilità”, afferma Walsh, “e se solamente uno di questi elementi viene a mancare, il presidente si indebolirà presto”.
I giornalisti egiziani e stranieri al Cairo adesso hanno una limitatissima libertà di espressione, ma le organizzazioni mediatiche e i collettivi politici si stanno a poco a poco rafforzando. Avere spazi oggi in Egitto è fondamentale, e in questo contesto la solidarietà internazionale e transnazionale è un fattore determinanti per garantire al Paese una svolta democratica.

Emilia Sgariglia