Dall’Iraq alla Siria: dieci anni di sfide alla sicurezza dei giornalisti

Sala Lippi, ore 10.30

Dall'Iraq alla Siria. Nel mezzo dieci anni di giornalismo all'estero. Di inviati per raccontare ciò che accade negli scenari di guerra di tutto il mondo. E un dato: 120 giornalisti uccisi ogni anno. Da questo numero è partito Richard Sambrook, direttore del Executive Board dell'International News Safety Institute - organizzazione che opera per promuovere le migliori pratiche di sicurezza durante i reportage -, nell'aprire alla Sala Lippi il panel "Dall'Iraq alla Siria: dieci anni di sfide alla sicurezza dei giornalisti".
Con lui, a raccontare un'esperienza estremamente significativa e altrettanto affascinante, Amadeo Ricucci e Susan Dabbous, i due giornalisti rapiti - assieme da altri due colleghi - da un gruppo di ribelli siriani il 5 Aprile scorso e liberati a distanza di otto giorni. E poi, a completare la schiera dei relatori, l'esperienza di Paul Wood della BBC, Ruth Sherlock per il The Daily Telegraph e Hannah Storm, direttrice dell'International News Safety Institute. Tutti con una immensa esperienza da raccontare nell'ambito del giornalismo di guerra.
Si è partiti da un bilancio generale, tra l'Iraq e la Siria. "A me sembra che le condizioni generali della sicurezza sul lavoro siano cambiate profondamente negli ultimi dieci anni", sostiene Amadeo Ricucci (giornalista RAI). "A partire dall'11 Settembre, dalle Twin Towers, il nostro lavoro è cambiato profondamente. La differenza sta nel fatto che il giornalista non è più il perno del sistema informativo. I belligeranti sono in grado di fare foto, video, comunicati e diffonderli su Internet. Non hanno più bisogno di noi giornalisti e questo mette a repentaglio le nostre condizioni di lavoro".
Entrando nel merito dell'esperienza vissuta in Siria, a distanza di poche settimane, questo raccomanda la giornalista italo-siriana Susan Dabbous: "Prima di andare in uno scenario di guerra, bisogna avere una conoscenza sulla cultura del luogo, una conoscenza del territorio e una forte preparazione psicologica. Nel mio caso, conoscevo la cultura islamica e questo mi ha aiutato molto nel comunicare con loro nel modo giusto". E poi un altro dato importante: "La mia strategia è stata quella di pensare sempre al peggio. Io ho sempre pensato in negativo e questo mi ha aiutato a sorprendermi in positivo più facilmente in quella situazione".
Della propria esperienza personale, da freelance e corrispondente del The Daily Telegraph, ha parlato la giovane Ruth Sherlock: "Sapevo solamente che volevo fare la giornalista e che avrei trovato il modo del farlo. Con un amico del The Daily Telegraph, da freelance, ho imparato in Libia alcune delle regole fondamentali in uno scenario di guerra. Essere in un'area dove c'erano giornalisti molto più esperti di me è stata un'ottima occasione per imparare. E come freelance ho avuto ottime occasioni per trovare storie da raccontare e nuovo lavoro".
Paul Wood della BBC e Hannah Storm per l'International News Safety Institute hanno fatto il punto sullo stato di sicurezza in cui operano i giornalisti nel mondo. "Credo che il rischio principale sia quello del rapimento. In Siria ora il rischio di essere rapiti sta crescendo e noi della BBC abbiamo scelto di lavorare solo fianco a fianco con le nostre forze di sicurezza". Situazione, questa, tutt'altro che scontata per i giornalisti freelance, i cui rischi invece risultano essere ancora maggiori. "Concordo con Amadeo: dall'11 Settembre i giornalisti sono diventati una sorta di bersagli legittimi, mentre prima non era così - spiega Hannah Storm -. Noi lavoriamo fianco a fianco con le organizzazioni che fanno informazione, per valutare con loro i rischi, capire il territorio in cui andranno a operare e le responsabilità a cui far fronte. Tutto si riassume in giornalisti che possono trovarsi in situazioni difficili e che devono essere supportati in questo.
"Il problema fondamentale, a mio avviso, è trovare il modo di punire i responsabili della morte di un giornalista, perché altrimenti il messaggio che passerà sempre sarà che questa cosa va bene, si può fare. Invece non è così". Con queste parole Storm ha terminato il dibattito presso la Sala Lippi, anticipando le numerose domande poste ai presenti in conclusione.

Matteo Aldamonte