La Sala del Dottorato, nel corso della seconda giornata del Festival Internazionale del Giornalismo, ha ospitato, alle ore 18, il panel dal titolo “Diffamazione e non solo: la libertà di informazione in Italia”, che ha visto confrontarsi l’avvocato Caterina Malavenda ed il giornalista del Corriere della Sera, Luigi Ferrarella.
Tema dell’incontro la legge sul reato di diffamazione in Italia, strettamente legata al mondo del giornalismo giudiziario e che si collega all’evento svoltosi in mattinata, sempre nell’ambito del festival, dal titolo “1992: l’Italia di tangentopoli”.
“Il 1992 non è stato solo l’anno di “mani pulite” – ha dichiarato Malavenda – “ma quell’anno ha anche modificato il modo di fare e ricevere informazioni: i giornalisti iniziano a ricevere gli atti giudiziari, i verbali delle indagini. C’è una sorta di “verbolificio” che diventa cronaca e, nello specifico, la cronaca giudiziaria diventa il centro di tutta la cronaca. La maggior parte delle informazioni arriva dalle intercettazioni telefoniche e, perciò, si inizia a pensare ad un modo per poterne bloccare l’uso e la diffusione”.
A rispondere è Luigi Ferrarella il quale ha aperto il suo intervento affermando: “ Noi giornalisti, come categoria, sappiamo di aver commesso degli errori, si spera in buona fede. Ma in questo sistema di finto proibizionismo, perché – ha precisato – tutte le informazioni che ci arrivano dovrebbero, secondo la normativa, essere nascoste, il proibizionismo teorico è più che tollerato”.
Perché tanta attenzione mediatica sulle indiscrezioni che trapelano nel corso delle indagini e che potrebbero creare non pochi problemi, a livello legislativo e penale, ai giornalisti? “Perché – afferma Ferrarella – i meccanismi ordinari che dovrebbero informare l’opinione, sul lavoro degli enti pubblici, non funzionano”. E ci tiene a sottolineare: “Mentre tutti si preoccupano dell’aggressione del giornalista alla privacy dell’indagato, nessuno si preoccupa di fare fuori coloro che sono autori di falsi giornalistici. E’ clamoroso come i responsabili di ciò, siano ancora al loro posto.
Mi preoccupo anche di un altro aspetto pratico del nostro lavoro: se guardo alla composizione sociale dei giornalisti del mondo giudiziario, sono collegi pagati 10 euro al pezzo. Cosa potrebbe significare per un mondo delicato, come quello giudiziario, che ha in mano la vita delle persone? E queste persone avrebbero il potere di dire no a certe richieste editoriali finalizzate a difendere il padrone o ad attaccare il nemico di quest’ultimo?”.
La realtà giornalistica è certamente molto complicata e piena di rischi: “In questi anni – dichiara il giornalista – ho visto colleghi di testate più piccole perquisiti per reati di fughe di notizie inesistenti, aventi solo fine intimidatorio, affinché le proprie fonti di informazioni abbiano paura”.
A difesa della categoria è, infine intervenuta l’avvocato Malavenda: “Io difendo i giornalisti e la magistratura applica correttamente la normativa vigente. Se si rispettano le regole e si evita di esagerare, se si rispetta la propria coscienza, si può ancora fare questo lavoro, nonostante i rischi”.
Angela Zicolella