Don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, è da molti anni in prima linea nella lotta alle mafie. Nelle sue battaglie si è spesso rivolto ai grandi nomi della politica, portando avanti le istanze dei più deboli, dei familiari delle vittime, degli oppressi dalla criminalità organizzata. Il primo passo per la lotta alla mafia, però, per il prete bellunese parte dal basso, dalla società civile. “Perché bisogna essere cittadini veri, non a intermittenza”.
Don Luigi Ciotti, qual è la situazione della corruzione mafiosa in Italia oggi?
La corruzione in Italia è cresciuta, siamo tornati a livelli altissimi. Dopo Tangentopoli credevamo in una svolta, invece la storia ci ha consegnato un'altra versione. Non a caso siamo ancora qui a parlare di questa violenza che inquina la politica e l'economia e non marginalmente. Oggi le mafie sono tornate a essere molto forti. Succede sempre così quando la politica è debole. La corruzione è un cancro che ci impoverisce tutti ed è noto che la criminalità organizzata recluta dove c'è il vuoto. Eppure, nonostante questa consapevolezza, non riusciamo ad avere una legge anticorruzione. Abbiamo una mezza legge: non chiara, non trasparente e non efficace.
Durante il corteo di Libera del 21 marzo a Latina per la Giornata della memoria, ha detto che il 70 per cento delle famiglie delle vittime della mafia non conosce la verità sugli omicidi e le stragi. Cosa pensa del recente impegno del governo nella desecretazione degli atti?
La politica è chiamata a fare la propria parte. Non con slogan o promesse ma con fatti. Ed è sui fatti che chiederemo conto alla politica e dovremo verificarla. Io ho sempre incoraggiato quelli che fanno cose positive. Abbiamo bisogno di concretezza. Io mi auguro che chi oggi governa questo paese riesca a portare una zampata, un contributo alla ricerca della verità. Ma non basta desecretare le cose che sono state messe sotto segreto perché ci sono altri apparati che entrano in gioco. Questa è solo una parte. Anche se, tra l'altro, poi molte cose si conoscevano già.
Lei è impegnato da tanti anni nella lotta alle mafie e nel coinvolgimento della società civile, talvolta anche rischiando e mettendo a repentaglio la sua vita. Cosa possono fare i cittadini per dare un contributo a questa battaglia?
Possono essere dei 'veri cittadini'. Di fronte alla sofferenza di tante persone non si possono fare solo 'parole'. Molte parole sono malate. Non basta neanche commuoversi, bisogna muoversi. Il problema grosso in Italia non è solo chi fa il male, ma quanti guardano e lasciano fare. Io credo che spendere un po' del proprio tempo per costruire percorsi che diano dignità e libertà agli altri voglia dire arricchire la propria vita. Ho cominciato 50 anni fa e sulla mia strada non c'è mai stato un 'io' ma sempre un 'noi'. Sono qui perché con tanti altri condivido questo percorso. Purtroppo ci sono troppi 'cittadini a intermittenza' nel nostro paese. Un vero cittadino si assume le sue responsabilità, prende coscienza che il cambiamento ha bisogno di ciascuno di noi. La vita ci chiede un impegno: usare la nostra libertà per liberare chi libero non è.