Sabato 27, ore 18.30, Centro Servizi G.Alessi
Oggi pomeriggio, al Centro Alessi, Ferdinando Giugliano del Financial Times, la giornalista Caterina Soffici e John Lloyd dell'Università di Oxford hanno raccontato il giornalismo italiano con tono critico e obiettivo, ponendo l'accento sui suoi punti deboli, di cui si parla frequentemente anche all'estero. Come mai l'informazione italiana è così chiacchierata all'estero? Il giornalismo italiano è poco credibile perchè è troppo di parte, non si ispira all'imparzialità.
E' emerso prepotentemente il rapporto tipicamente italiano che lega giornalismo e politica. La neutralità in Italia pare non essere possibile; mentre, oltre a occuparsi di schieramenti politici, il giornalismo dovrebbe soprattutto fornire analisi neutrali, raccontando la verità. Spesso invece, giornalisti di giornali schierati scelgono di non raccontare determinati fatti, per non svelare qualcosa che procurerebbe fastidio alla linea politica della testata per cui lavorano. In questo modo però, si fanno tacere gli scandali, censurando e autocensurandosi.
I problemi del giornalismo italiano hanno a che fare con la società; in Italia non esistono editori puri, ma gruppi editoriali che hanno interessi esterni alla stampa.
I giornali sono visti come prodotti da difendere, insieme agli interessi dei relativi editori. Non ci si fida dei nostri giornalisti, mentre si mitizza il giornalismo anglosassone, spesso dimenticando che è lo stesso che fa vendere i tabloid.
In Italia, quotidiani come Libero e il Giornale, hanno adottato, secondo Lloyd, lo stile tipico del giornalismo britannico. Inoltre, in Italia, non solo la stampa, ma anche i canali televisivi sono fortemente politicizzati: basti pensare che noi non ci stupiamo del fatto che Mediaset sia di proprietà di Silvio Berlusconi, mentre in tanti altri paesi questo non accade.
Un altro problema italiano è quello relativo all'assenza di ricambio generazionale all'interno delle redazioni dei giornali; le prime pagine dei quotidiani ospitano ancora le firme dei soliti, ormai anziani, editorialisti, che non lasciano spazio a penne nuove. Ma, senza nulla togliere a grandi giornalisti italiani, gli speaker del panel hanno affermato che chi scrive a 70 anni vedrà il mondo diversamente rispetto a chi ne ha 40 in meno. I giornali oggi non sono capaci di rinnovarsi, ed è forse anche per questo che vendono sempre meno copie? I giornalisti che hanno frequentato l'università di economia 30 anni fa, sanno parlare di moneta unica quanto un giovane neolaureato? Certo è che i giovani, se solo gli fosse permesso, rinnoverebbero i giornali, insieme ai loro lettori.
Giulia Mengolini