“Bisogna pensare in termini di colonne e righe. Contare, sommare, ordinare. Questo è il data journalism”. Sarah Cohen, professoressa alla Duke University e in passato cronista investigativa al Washington Post, apre così il workshop “Giornalismo di precisione” che si è tenuto durante la seconda giornata del Festival Internazionale del Giornalismo. Insieme a lei Steve Doig, della Walter Cronkite Journalism School presso l'Università dell'Arizona.
I due, vincitori in passato del prestigioso Premio Pulitzer, hanno spiegato l’utilità dell’inserire i dati in tabelle e schemi, analizzando nel dettaglio alcune situazioni. “Guardando una tabella bisogna capire come interrogarla. L’ordine alfabetico è quello spesso più utilizzato ma anche quello meno utile per i giornalisti” è il monito lanciato dalla coppia, che continua ricordando l’importanza di ampi database: “accesso alle informazioni e banche dati sono due componenti fondamentali per chi lavora nel mondo del data journalism. Avere un gran numero di dati, anche sugli stessi eventi, serve ad avere maggior precisione tramite il confronto e a creare strati di informazioni sovrapposte per guardare realtà piccole e grandi”. Serve, inoltre, a eliminare uno dei più grandi nemici del giornalismo di precisione: la soggettività. “Introducendo questo fattore si corre il rischio di falsare tutta la ricerca nella fase di raccolta. La soggettività deve essere inserita solo dopo aver analizzato i dati. Questi ultimi, infatti, non vi dicono mai il perché, ma vi segnalano situazioni particolari sulle quali indagare”.
Durante il workshop i due hanno usato il programma Excel, della Microsoft. Una scelta dettata dai seguenti motivi: “È un ottimo programma per lavorare. Abbrevia i calcoli, è duttile e non è difficile da usare. In breve, fa i compiti per voi”.