Giovani e rappresentanza: la coppia che scoppia

Quanto contano oggi i giovani in Italia? Che peso hanno nelle decisioni politiche, economiche, sociali del nostro paese? Qual è la considerazione di cui godono? Sono realmente rappresentati? Queste alcune delle domande a cui gli ospiti dell’incontro tenutosi questo pomeriggio presso la Sala delle Colonne nella sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia hanno cercato di dare una risposta. C’era anche il ministro per le Politiche Giovanili Giorgia Meloni al panel di discussione che ha visto confrontarsi Fausto Raciti, segretario nazionale dei Giovani Democratici, e Antonio De Napoli, portavoce del Forum Nazionale dei Giovani. Come spesso accade quando si affrontano temi di valenza socio-politica, la riflessione ha preso avvio da alcune cifre che Sergio Rizzo, nota firma del Corriere della sera, ha voluto provocatoriamente snocciolare. Tra queste, è bene soffermarsi su una previsione: in Italia, nel 2050, il rapporto tra giovani e anziani si assesterà intorno ad uno su tre, mentre già oggi è pari a uno su due. Il trend di invecchiamento della popolazione è in costante crescita e i giovani, le ragazze e i ragazzi che vivono, studiano e (con difficoltà) lavorano nel nostro paese, sembrano essere invisibili. Eppure ci sono, e non sono pochi. Si tratta, forse, di un problema di scarsa percezione.

Giorgia Meloni parla, a questo proposito, di una categoria non più anagrafica, ben identificabile, ma quasi sociologica, frutto dello spostamento di quella soglia sempre più alta che porta a considerare come “giovani” cittadini che in realtà si avviano a non esserlo più e che in altri paesi europei godrebbero di posizioni sociali assai diverse. Questo spiega perché i quarant’anni dell’Italia sono i venticinque della Francia, della Germania, dell’Inghilterra. La politica, di fronte a questi fenomeni, pare essersi adeguata, forte del fatto che i propri bacini elettorali sono diversi da quelli che rappresentano i ventenni di oggi. Ecco perché un ministero che si occupi appositamente di Politiche Giovanili forse non basta, sarebbe necessario che ogni dicastero dedicasse una parte delle proprie scelte (e, di conseguenza, delle proprie risorse) ad azioni fatte e pensate per i giovani. È, in altri termini, una questione di sviluppo, di visione del bene comune e non, come invece è diventato oggi, un tema di nicchia. Il ministro Meloni propone, a questo proposito, di introdurre per legge la cosiddetta “verifica di impatto generazionale”, che si porti a chiedere quanti benefici abbiano prodotto le politiche realizzate dai “vecchi” per i giovani. Ma forse, ha continuato la Meloni, ciò di cui ci sarebbe davvero bisogno è un riferimento esplicito in Costituzione al principio della promozione dei giovani. Abbassare l’età per l’elettorato passivo potrebbe essere un ottimo punto di partenza.

Sergio Rizzo non condivide quest’ultima proposta, temendo che sia una specie di battaglia contro i mulini a vento. Si riferisce ad una realtà che è sotto gli occhi di tutti ma di cui ci si dimentica troppe volte. La prima sfida, secondo l’autore de La casta, è responsabilizzare le giovani generazioni, educarle all’impegno e alla formazione, allo studio delle lingue (i nostri concorrenti europei sono, in media, più istruiti e laureati). Immaginare un nuovo patto tra generazioni, che porti ad abbandonare quello che Raciti ha voluto definire “darwinismo sociale” - chi ha i mezzi sopravvive, mentre chi non ce la fa soccombe - è l’impegno principale che la politica deve assumere. Solo un paese che può garantire un futuro ai propri giovani è capace di ridare una nuova speranza.

Antonio Bonanata