Questa settimana in RoundUp: secondo uno studio condotto da Edelman la fiducia nei motori di ricerca come fonte di news sarebbe superiore a quella riposta nei media tradizionali; Facebook cerca di risolvere il problema delle bufale virali permettendo agli utenti di segnalare le notizie 'false'. Cosa cambia per il giornalismo online? Medium intanto continua a crescere, tanto da aver attirato le attenzioni della Casa Bianca, che l'ha scelto come strumento sul quale pubblicare il discorso sullo State of the Union. Ma qual è il futuro di questi platisher?
“Google è più attendibile dei media tradizionali”
Che i giornali avessero perso da tempo il monopolio sulla notizia e sulla sua distribuzione è questione ormai nota. La novità di questa settimana è che secondo uno studio condotto dall’agenzia di relazioni pubbliche Edelman, sulla base di 27.000 intervistati, i motori di ricerca avrebbero superato i media tradizionali in termini di affidabilità come fonte per «general news and information» - tendenza tanto più accentuata nei millennial.
via Quartz
Siti come Google, in pratica, sarebbero ritenuti una risorsa più attendibile dei giornali che selezionano e offre nelle loro ricerche: «Google is now a more trusted source of news than the website it aggregates» sintetizza John McDuling su Quartz. Un paradosso, se si pensa al fatto che il sito di Mountain View non produce vere e proprie news (al contrario di Yahoo) limitandosi a indicizzare la produzione altrui, e che in alcuni paesi - vedi Spagna - è stato costretto a chiudere GoogleNews con l’accusa di aver “rubato” contenuti ai giornali.
«Il motore di ricerca, in fin dei conti, è il modo più facile per trovare gran parte delle cose che cerchiamo online, notizie incluse» - spiega McDuling. Ma si tratta di un bene o un male? «Ci sono due modi per interpretare» la cosa, spiega Nathaniel Mott su Pando: la versione ottimista suggerisce di accogliere positivamente il fatto che i lettori si trovino sempre più spesso a contatto con una varietà di fonti prima inimmaginabile; la versione pessimista, invece, vorrebbe mettere in allarme sui rischi di uno scenario nel quale i motori di ricerca rischiano di ritrovarsi in mano un controllo quasi monopolistico sulle informazioni che circolano online - tanto più se si pensa a questioni come quella del diritto all’oblio. «Il fatto che Google basi gli algoritmi sulle preferenze dei propri utenti genera in qualche modo una specie di cassa di risonanza, dalla quale diventa sempre più difficile sfuggire», suggerisce Mott. «Forse è per questo che la gente crede in Google più che nei media tradizionali: Google non mette in discussione i loro giudizi» né il loro punto di vista sul mondo, conclude, tenendoli ben ancorati alle loro “filter bubble”.
Quanto meno, precisa McDulling, i media tradizionali continuano a essere ritenuti più affidabili dei social network, sebbene questi stiano diventando più importanti degli stessi motori di ricerca in termini di traffico.
Facebook dichiara guerra alle bufale
Eppure Facebook sta cercando di muoversi, da questo punto di vista. Questa settimana è stato introdotto un nuovo strumento che permetterà agli utenti di segnalare le notizie che circolano sul social network e che sono ritenute false. In questo modo le ‘bufale’, una volta segnalate, dovrebbero apparire con meno frequenza nel news feed degli utenti, minandone la diffusione anche attraverso un messaggio di avviso (come questo) che dovrebbe apparire in cima ai post. «This is an update to the News Feed ranking algorithm. There are no human reviewers or editors involved», ha spiegato il product manager di Facebook: il contenuto sotto esame, in pratica, non verrà rimosso da un addetto preposto al controllo, ma verrà semplicemente svantaggiato dall’algoritmo stesso in termini di indicizzazione, senza alcuna azione di tipo ‘editoriale’.
«Facebook vuole offrirci una soluzione dandoci un altro problema» spiega John McDermott su Digiday. L’intero processo, infatti, sembra a essere quanto meno fumoso: in assenza di controllo umano, la società deputa ai propri utenti la pulizia della piattaforma dalle bufale, senza indicare - per esempio - quante volte un articolo debba essere segnalato come ‘falso’ affinché venga notificato come tale, e «senza assumersi veramente la responsabilità di decidere cosa sia vero» ha spiegato Adrienne LaFrance, creatrice della rubrica “Antiviral” di Gawker, a Caroline O’Donovan su NiemanLab. Quali sono i rischi? Certamente - come ricorda l’Assistant Professor del Dartmouth College Brendan Nyhan - l’”intelligenza collettiva” potrebbe apparire un giudice preferibile al solo giudizio di un moderatore umano, che avrebbe bisogno «di un bagaglio culturale tale da determinare da solo cos’è vero e cosa no». Ma cosa succederebbe - si chiede Nyhan - se le persone cominciassero a segnalare come ‘false’ tutte quelle notizie che semplicemente non gli piacciono?
La questione non può non avere un certo impatto sull’attuale produzione giornalistica, se si pensa al fatto che il social network è ormai diventato il primo vettore di traffico per le testate online, una delle fonti di news più consultate dai lettori ed è il sito più visitato al mondo (Alexa): si tratta di una scelta che finisce con l’avere delle forti conseguenze di carattere editoriale, secondo Carmel DeAmicis su Gigaom, e che inquadrano Facebook in «quell’area grigia a metà fra l’essere ‘piattaforma’ e l’essere ‘publisher’, come Medium».
Il «colpo» di Medium
Medium è infatti quel servizio (di cui abbiamo già parlato) che permette a chiunque di pubblicare i propri articoli o creare collezioni di pezzi altrui, con layout grafico comune e una struttura semplice. Diversamente da un servizio di hosting per blog, ha una sorta di redazione che può decidere, attraverso un processo “editoriale”, quali di questi contenuti promuovere, o di commissionare articoli ad autori scelti, come fosse un magazine online (qui un contributo via Poynter su quanto Medium e gli altri platisher possano essere utili, o meno, per gli scrittori).
Questa settimana, per esempio, la società creata da Ev Williams avrebbe «messo a segno un gran colpo», secondo Erik Wemple del Washington Post: la Casa Bianca ha infatti pubblicato il discorso dell’annuale State of the Union proprio su Medium, prima che lo stesso venisse pronunciato dal presidente Obama. «We’re trying to find audiences where they are» ha spiegato il portavoce della Casa Bianca Eric Shultz, e i quasi 20 milioni di visitatori al mese - e i 25 milioni di dollari raccolti nel 2014 - potrebbero giustificare questa affermazione.
Più pessimista Lydia Lauderson sulla Harvard Business Review, secondo la quale la sua natura ibrida, a metà tra piattaforma e editore, potrebbe svantaggiare Medium nel lungo periodo in termini di credibilità nei confronti dei lettori. Esempio: non è uno scandalo il fatto che si possa trovare della pubblicità su “piattaforme” come Google o Facebook, spiega l’autrice, mentre invece un advertorial come quello di Scientology su TheAtlantic - che è un “publisher” classico - ha destato rabbia e proteste nei mesi scorsi (ne avevamo parlato qui). I due piani sembrano quindi difficilmente sovrapponibili: «è affascinante il fatto che si pensi di poter fare entrambe le cose, e magari qualcuno ci riuscirà pure», continua Lauderson, ma la domanda è: «Vuoi cambiare il mondo producendo strumenti che tutti utilizzano, o preferisci cambiarlo diventando la voce di cui tutti si fidano?».