Grande guerra 1915-2015. Dai diari dei soldati allo storytelling digitale

Intervengono: Federico Badaloni Gruppo L’Espresso, Pier Vittorio Buffa Gruppo L’Espresso, Nicola Maranesi giornalista e scrittore, Stefano Pivato Università di Urbino

“Mostrare la guerra attraverso i diari di chi l’ha vissuta”: questa la volontà del gruppo editoriale l’Espresso, che ieri ha presentato al pubblico riunito a palazzo Sorbello il suo ultimo progetto durante l’incontro “Grande guerra 1915-2015, dai diari dei soldati allo storytelling digitale”.

È un progetto ambizioso quello dell’Espresso, che nasce dal grande patrimonio archivistico conservato a Pieve Santo Stefano (AR). “Un patrimonio straordinario, che andava messo a disposizione di tutti”, nota Pier Vittorio Buffa, che del progetto è ideatore. Potenzialmente, tutto il materiale era alla portata di tutti; realisticamente, pochi sarebbero, di fatto, andati a consultarlo presso gli archivi.

Ora invece, a poche settimane dal centenario dell’entrata in guerra dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, il progetto è a portata di click sul sito dell’Espresso “La grande guerra - 1914-1918” (http://espresso.repubblica.it/grandeguerra/), dove, in un percorso di storytelling digitale, sono raccolti circa mille estratti dei diari dell’archivio di Pieve Santo Stefano. Estratti che dipingono un ritratto della guerra basato sulla testimonianza diretta, personale di chi l’ha vissuta, “che ci portano il più vicino possibile ai ragazzi che hanno combattuto cent’anni fa,” dice Buffa.

“Nella rete tutto è un eterno presente, tutto resta, niente viene dimenticato perché arriva un’altra edizione cartacea che lo sovrascrive,” dice Federico Badaloni, altro responsabile per l’Espresso del progetto. Il tentativo del sito è, quindi, quello di rendere presenti le testimonianze di quelle persone che della Prima Guerra Mondiale hanno vissuto, sulla propria pelle, gli orrori.

Nel sito, ogni storia è geolocalizzata “in quella certa trincea, in quella certa montagna, in quel certo ospedale da campo,” e collocata in una mappa del territorio italiano, spiega Buffa. Ognuna è poi catalogata secondo quattro categorie strutturali: la descrizione dei temi storici (fame, freddo, amicizia, combattimenti, cattura dei prigionieri,…), che catalogano i brani secondo percorsi emozionali; la descrizione degli autori, non secondo i dati anagrafici bensì sottolineandone l’età al momento dell’inizio del conflitto per il nostro paese (“Avevo 20 anni quando siamo entrati in guerra”); la descrizione degli estratti; la descrizione di eventi e luoghi bellici”.

In parallelo con il progetto di digitalizzazione dei diari, il Gruppo l’Espresso sta ora ultimando una prosecuzione in cartaceo, quattro volumi che usciranno in edicola subito dopo il 24 maggio. In essi saranno raccolti circa 500 estratti, molti dei quali nuovi rispetto al materiale disponibile online, ordinati in modo cronologico, ripercorrendo, giorno per giorno, i quattro anni di guerra.

Dopo gli interventi dei giornalisti del Gruppo L’Espresso, intervallati dalla lettura di alcuni estratti dal sito, la parola è passata a Stefano Pivato, docente di storia contemporanea presso l’Università di Urbino. Privato introduce i diari dell’archivio di Pieve Santo Stefano con i termini “scrittura popolare” e “archivi dell’io”, la storia raccontata dalle persone comuni che l’anno vissuta, non più intesa come “storia del dopo,” costruita sulla “memoria del dopo,” esempio del quale è il mito della grande guerra costruito dal Fascismo.

L’incontro si chiude con alcune domande del pubblico. Una di queste si focalizza sull’amor di patria, se esso sia una componente frequente delle lettere. La risposta dei panelist è unanime: amor di patria non emerge nelle sfere più basse, sembra mancare nel ceto contadino, che costituiva in prevalenza la fanteria. “Patria è un concetto troppo astratto per gente che non sappia neanche quanto faccia 1+1” commenta Stefano Pivato. Nicola Maranesi, giornalista e scrittore, spiega poi che, quando, al contrario, questo attaccamento alla patria è presente, esso sembra essere scritto in serie, ispirato da una fonte comune - che non è difficile riconoscere nei giornali che giungevano dalle città al fronte. Un’altra si interroga invece sulla censura postale negli anni di guerra. “Funzionava e funzionava benissimo, la censura,” dice Stefano Pivato, e “si veniva arrestati se c’erano frasi disfattiste”. Per aggirarla, i soldati ricorrevano ai più originali stratagemmi anticensura, vero e propri codici segreti che permettevano a molti di far sapere ai propri cari i luoghi in cui questi si trovavano a combattere.

Silvia Maresca