Alla Sala Raffaello dell’Hotel Brufani, un panel di esperti ha voluto analizzare, sotto più punti di vista, quella che, nella contemporaneità, può essere giustamente definita la peggior crisi di fiducia nei confronti dei media, che vengono percepiti dalla gran parte dell’opinione pubblica come servi delle élite. A esporre le problematiche e le rispettive soluzioni pratiche sono stati il fondatore di Meedan, Ed Bice, la cofondatrice e CEO di Hearken, Jennifer Brandel, Mark Little, CEO e cofondatore di Neva Labs, e i professori Rasmus Nielsen (Oxford) e Aron Pilhofer (Temple University).
Ad accomunare i primi interventi è stato l’elenco di una serie di strumenti pratici (principalmente nuove piattaforme) che i giornalisti e le rispettive testate stanno iniziando a utilizzare per rafforzare il binomio fiducia-soddisfazione delle comunità rappresentate e per monitorare quanto il proprio lavoro stia influenzando positivamente (o danneggiando) i propri lettori. L’obiettivo della “guida pratica” che si è andata a comporre è, infatti, quello di incitare i professionisti ad aprirsi al confronto sia con i propri colleghi che con i fruitori del materiale mediatico generato, così da superare la diffidenza generata dall’assenza di prossimità che internet ha prima generato, e poi tentato di recuperare.
Nella seconda parte, la parola è passata ai due accademici, che, invece, hanno sottolineato come sia fondamentale l’aspetto della cooperazione con gli studiosi e i ricercatori, i quali, nonostante siano in un certo senso “estranei” al mondo del giornalismo – soprattutto nei suoi aspetti più tecnici – possono divenire un tassello importante per migliorare in modo biunivoco i lavori di entrambe le parti. Potrebbero essere proprio gli studiosi, in una realtà storica che ha prodotto una generazione di cinici, a rifondare il rapporto tra società, istituzioni e fonti autorevoli.
Lorenzo Tobia