I consumatori hanno fame etica

I consumatori contemporanei sono sempre più alla ricerca di prodotti e servizi che rispettino standard etici. Le istanze dei consumatori esigenti hanno trovato una prima risposta già nel 2011 con una riforma europea diventata obbligatoria per tutti gli Stati membri ed entrata in vigore del 2014: essa ha previsto un’armonizzazione univoca delle norme nazionali su tutti i prodotti alimentari, con lo scopo di assicurare ai consumatori la salvaguardia della salute e una maggiore trasparenza delle informazioni di ciò che viene immesso sui mercati europei. Nonostante l’adeguamento dei Paesi membri ai regolamenti emanati da Bruxelles, secondo una ricerca Edelman Italia si sta assistendo ad una crescente sfiducia da parte dei consumatori nei confronti delle istituzioni politiche e, di contro, ad una maggiore credibilità riposta, invece, nelle aziende e nei loro processi produttivi in un’era in cui ciascun cittadino delega con sempre maggiore convinzione parte della loro vita alle grandi corporations. Ma quante e quali sono le risposte delle aziende di fronte alle crescenti esigenze dei consumatori? Questo pomeriggio presso la Sala Raffaello dell’Hotel Brufani rappresentanti di grandi aziende ed associazioni hanno provano a fare il punto della situazione.
Secondo Manuela Kron, direttrice corporate affairs di Nestlè, le aziende italiane sono state protagoniste di una forte ristrutturazione nella governance che ha loro consentito di avvicinarsi ai consumatori e di fornire a questi ultimi risposte serie e credibili a tutte le questioni sollevate dal lato della domanda. Aziende come Nestlè hanno accelerato il processo di dialogo diretto con i cittadini e questo ne ha consentito una maggiore credibilità. Dello stesso avviso anche Luca Di Leo, capo delle relazioni con i media presso il Gruppo Barilla e la Fondazione Barilla: l’azienda è impegna da anni a trovare soluzioni ai grandi paradossi alimentari del nostro tempo nella misura in cui in alcune aree del mondo si muore per carenza di cibo, in altre per eccesso. Maria Letizia Gardoni, presidentessa nazionale di Coldiretti Giovani, presenta un prospetto piuttosto incoraggiante delle good practices adottate dal settore agricolo e agroalimentare italiano, intendendo lo sviluppo economico non solo come fattore di profitto per le aziende ma anche e soprattutto come strumento di benessere diretto ai lavoratori e ai cittadini.
La tendenza ad una maggiore responsabilità aziendale sembra dunque diffusa su larga scala in Italia, ma qual è il ruolo del giornalismo nel contribuire alle diffusione di informazioni corrette riguardo alle buone pratiche implementate dalle imprese? Simone Spetia, conduttore e autore di un programma su Radio 24 prova a darne una risposta. Secondo il giornalista la stampa italiana tende ad essere anti-corporations per natura senza tenere conto dell’altra parte: l’inclinazione andrebbe modificata e rimodulata sulla base dei nuovi processi di corporate social responsability di cui piccole e medie aziende si rendono protagoniste.
Se è vero che la comunicazione aziendale oggi si impone come strategia di marketing, è necessario che la stampa si responsabilizzi e faccia della buona informazione per raccontare non solo le storie di successo di quelle imprese italiane che rappresentano modelli di sviluppo sostenibile, ma si impegni anche ad invitare le altre imprese ad adottare politiche che prevedano buone pratiche ed un dialogo diretto con i consumatori.

Emilia Sgariglia