Durante il suo talk al Festival del Giornalismo di Perugia, introdotto da Mario Calabresi, Matthew Caruana Galizia, giornalista e ingegnere informatico - il cui lavoro sui Panama Papers ha portato la sua squadra a vincere il Pulitzer nel 2017 - ci racconta i motivi per cui ha lasciato l’ICIJ nel 2018 per lavorare al caso dell’assassinio della madre, Daphne Caruana Galizia, la giornalista maltese uccisa da un’autobomba nel 2017. Il suo invito alla resilienza per i familiari di giornalisti assassinati può essere sintetizzato in un vademecum di 15 punti, con l’obiettivo di passare al contrattacco. Il primo punto: la politica usa la stessa sceneggiatura dappertutto per garantirsi l’impunità e bloccare la giustizia. È molto difficile combattere contro i governi, come dimostra anche il caso di Anna Politkovskaja. Si deve chiedere aiuto: al Consiglio d’Europa, ad esempio, che non ha potere giudiziario ma innesca l’indagine sulla complicità dello stato (martedì prossimo una seduta a Strasburgo farà riecheggiare il caso di Daphne). È utile addestrarsi quotidianamente a conversazioni criptate per razionalizzare le minacce. Un ulteriore punto è il grave abuso dei diritti umani che porta i governi a spostare il focus verso qualcosa di irrilevante, invece che sulle questioni interessanti (corruzione, riciclaggio di denaro sporco e criminalità organizzata), su ciò che è giusto o sbagliato, fuori dall’ideologia di destra o sinistra. I giornalisti tendono a isolarsi, ma è importante avere una vita familiare realizzata, come Daphne, per costruire una rete di supporto nelle difficoltà. Bisogna creare dibattito in seno a un governo quando è ostile, perché è fatto anche di persone possono mettersi in discussione. Caruana Galizia parla di ICPJ e Reporter Senza Frontiere che, lavorando sull’advocacy, sono validi alleati per districarsi su meccanismi come il Consiglio dei diritti umani. «La crisi che stiamo affrontando a Malta, Cipro, Polonia, Ungheria, non ha a che fare con libertà di espressione, intolleranza o terrorismo […] ma è una crisi dello stato di diritto. Se il giornalista investigativo è bravo e collabora a livello globale, i governi lo attaccano puntando alle folle e ai social media. La guerra va combattuta contro i governi che violano i diritti umani per indebolire lo stato di diritto, le forze di polizia, la magistratura e chiunque pur di garantirsi l’impunità». Il giornalista deve allontanarsi dal proprio lavoro, se necessario, e sfruttare le istituzioni come fanno gli attivisti. Quando si è vittime bisogna costruire un tracciato con comunicazioni scritte, anche con organi sovranazionali, come le Nazioni Unite, ed essere intraprendenti e prudenti: cambiare il proprio legale se non è d’aiuto, giocare d’anticipo, facendo attenzione al comportamento pubblico per non permettere a nessun avversario di screditarci. L’ultimo punto è ispirato al talk di Maria Ressa. Ogni giornalista dipende dall’ecosistema di attivisti e commentatori politici che creano dibattito e rispondono civicamente. Caruana Galizia ne approfitta per ringraziare tutti gli attivisti in sala.
Alessandra Paparatty - volontaria press office IJF19