IL CONTROLLO DEI MEDIA NELL’ERA DIGITALE: UN PROBLEMA CRESCENTE

Rispetto all'argomento di discussione – la progressiva penetrazione del controllo pubblicitario sui media – sono emerse molte domande e ancora poche risposte.
Secondo le relatrici, infatti, si tratta di una realtà ancora in fieri, rispetto alla quale non si può essere certo ottimisti, ma per cui sarebbe sbagliato cedere allo sconforto e credere che la buona informazione si trovi in un vicolo cieco.
La moderatrice dell'incontro, Anya Schiffrin (Columbia University) riprende la teoria del controllo dei media, formulata nel 2005, che rileva la connivenza tra mondo imprenditoriale, governo e informazione. Tale studio non teneva ancora conto del digitale, che anzi era considerato un'opportunità per aumentare la concorrenza e dunque migliorare la qualità dei media. L'evoluzione degli eventi ha invece dimostrato il contrario: alla progressiva estensione della platea di lettori è corrisposto un sempre maggiore interesse da parte dei grandi imprenditori verso la visibilità offerta dai media. Julia Agwin (direttrice della rivista The Markup, per anni al Wall Street Journal) riconosce che, con l'avvento del giornalismo imprenditoriale, la responsabilità degli editori si è spostata verso gli azionisti e tiene meno conto dei lettori. Anche Mary Fitzgerald (Open Democracy) sottolinea che l'ottimizzazione delle piattaforme va a svantaggio di chi produce i contenuti: gli algoritmi sono volti a focalizzare l'attenzione del lettore sul messaggio commerciale, formulato secondo una pubblicità mirata.
Appurato che la pressione dei pubblicitari è quasi inevitabile, si chiede Mira Milosevic (direttrice del Global Forum for Media Development), come può essere fronteggiata? Innanzitutto non bisogna sacrificare l'informazione di qualità per contenere il prezzo dei quotidiani: i lettori devono poter disporre di uno spazio pubblico e democratico dove partecipare a una discussione informata.
I media dovrebbero innanzitutto salvaguardare il rapporto con il proprio pubblico, aldilà della convenienza economica, anche perché diversamente nemmeno i pubblicitari avrebbero interesse ad investire sulle pubblicazioni dei giornali.
Occorre perciò ripensare all'offerta editoriale: gli abbonamenti, ad esempio, costituiscono una fidelizzazione forzata e bloccano la libera fruizione da parte dei lettori, che potenzialmente sarebbero molti di più. Forse il sistema pay-per-view potrebbe essere una soluzione per conciliare l'interesse del pubblico e la necessità di sopravvivenza economica dei gruppi editoriali.
La difficoltà di sopravvivenza dei media, privati del supporto pubblicitario, ci riporta dunque alla domanda iniziale: se è vero che i giornali non danno guadagno, quale può essere il beneficio dei grandi imprenditori nell'acquistarli, se non per poterli controllare?

Rebecca Mellano - volontaria press office IJF19