Good jobs per il dieci per cento dei lavoratori, lavori precari, malpagati e scarsamente riconosciuti (quando non addirittura sfruttamento) per tutti gli altri. E’ questo il triste scenario previsto per i prossimi anni dagli esperti Riccardo Staglianò (Repubblica) e Marta Fana (giornalista freelance), intervenuti al Festival del Giornalismo di Perugia in un confronto moderato da Francesco Seghezzi, direttore della fondazione Adapt.
Il processo – ha esordito Staglianò – è dovuto allo sviluppo tecnologico ed è irreversibile: nessuno studio è affidabile dal punto di vista metodologico e quantitativo, ma tutti concordano che i posti di lavoro distrutti a partire dagli anni ’90 del secolo scorso sono più di quelli creati: «Gli unici a non averlo capito sono i politici italiani – Renzi in primis – che vivono quasi tutti una fascinazione adolescenziale per le nuove tecnologie ed il loro presunto potere salvifico».
Dopo aver ricordato che la celebrata Silicon Valley californiana si è sviluppata grazie a cospicui investimenti pubblici legati alla Difesa, Marta Fana ha illustrato gli aspetti legali e giornalistici della sentenza di ieri con cui il Tribunale del lavoro di Torino ha respinto il ricordo di alcuni fattorini di Foodora, rimossi dalla app della multinazionale – e quindi, di fatto, licenziati – dopo aver protestato contro la mancanza di un compenso minimo fisso. Premesso che i giornalisti dovrebbero riferirsi a loro come lavoratori in lotta e non come «quei poveri ragazzi», il giudice di primo grado ha preso atto di quanto previsto dalla legge e dal contratto individuale, ritenendo che, pur avendo orari fissi (due ore a pranzo e altrettante a cena) e l’obbligo di divisa, i fattorini di Foodora vanno considerati dei semplici collaboratori e non dei lavoratori dipendenti (o almeno parasubordinati), perciò l’azienda può “rinunciare” a loro senza dovergli alcun risarcimento. Diversa la sensibilità nel Regno Unito, dove – pur in presenza di un quadro normativo simile – nel 2016 e 2017 due autisti Uber hanno vinto i primi due gradi di giudizio contro la multinazionale, ottenendo il riconoscimento e la tutela di alcuni diritti, tra cui il riposo festivo: «La sentenza di Torino rispecchia i rapporti di forza nella società», che attualmente sono molto sbilanciati a favore delle imprese: se dal 1991 al 2016 la produttività è salita poco (da 100 a 116), i salari sono rimasti praticamente fermi (salendo appena a 106), con una perdita secca di dieci punti a danno dei lavoratori.
Se dal punto di vista quantitativo abbiamo recuperato i 2/3 dei posti di lavoro pre-crisi – è intervenuto Staglianò – questo è stato possibile solo grazie a “lavoretti”, spesso suddividendo tra più persone il monte ore di un vecchio posto a tempo indeterminato. Del resto, gli standard statistici europei (Istat compreso) considerano «occupato» chiunque abbia lavorato un’ora nella settimana precedente. La stessa cosa è avvenuta negli Usa, dove la disoccupazione è scesa in dieci anni dal 10% ad un bassissimo 4%, ma solo grazie ai «contingent works» temporanei. Il risultato complessivo è un forte aumento delle disuguaglianze sociali, con una nicchia ben remunerata perché si occupa di cose considerate molto produttive, mentre tutti gli altri vedono la loro posizione sociale ed economica sempre più in pericolo, proprio a causa della crescita della tecnologia.
A differenza dell’Italia, nel Regno Unito il problema è sentito al più alto livello e ha scatenato un approfondito dibattito politico trasversale. La premier conservatrice Theresa May ha dichiarato che il suo governo cercherà di invertire questa tendenza, istituendo una task force per studiare possibili riforme. Dall’opposizione, il deputato laburista Frank Field ha fatto notare invece come i lavoratori precari stiano utilizzando il sistema di welfare senza alimentarlo. Non per colpa loro, dato che con i loro magri salari non possono pagare quei contributi che le aziende non intendono versargli. L’allarme è stato confermato dal Cancelliere dello Scacchiere, Philip Hammond, che ha stimato in 3,5 miliardi di sterline il deficit del servizio sanitario nazionale britannico nei prossimi anni. Il punto è che le multinazionali che operano online riescono a pagare tasse irrisorie grazie a complesse triangolazioni finanziarie internazionali, strangolando al tempo stesso le aziende tradizionali che invece non possono eludere le tasse: per esempio Airbnb paga ogni anno meno di 100mila euro in Francia (il secondo mercato del mondo) contro i 3,5 miliardi del settore alberghiero.
In Italia invece – ha concluso Marta Fana – di lavoro si parla poco, e spesso malissimo, dimenticando di fornire dati molto significativi, come per esempio il fatto che un quarto dei contratti a termine dura 15 giorni, costringendo di fatto i lavoratori a rinunciare a ferie e malattie per evitare il rischio di non essere più richiamati, con un modo di fare che «non è neanche sfruttamento, è barbarie». Non a caso è nata una nuova categoria sociale: i lavoratori poveri, che guadagnano meno di 1.000 euro e hanno bisogno di aiuto per poter arrivare a fine mese. I sindacati tradizionali continuano ad utilizzare chiavi di lettura del XX secolo, ma è positivo che i nuovi lavoratori, come i fattorini di Foodora, si stiano auto-organizzando, creando nuove forme di mobilitazione sociale. Quella che è veramente in ritardo è la politica, che dovrebbe produrre nuove idee e invece aspetta sempre suggerimenti da parte degli esperti e dei giornalisti.
Alessandro Testa