Il mio nome è Meriam

Sala Perugino, Hotel Brufani

Meriam Yehya Ibrahim è una giovane donna sudanese di quasi trent’anni, condannata all’impiccagione nel 2014 per duplice accusa: adulterio, per aver sposato un uomo cristiano e di origine sud sudanese e apostasia, per non aver rinnegato la propria federe cattolica.
La sua storia è raccontata nel libro ‘Il mio nome è Meriam’, presentato nel pomeriggio nella sala Perugino dell’hotel Brufani, scritto dalla giornalista e attivista per i diritti umani Antonella Napoli ed edito nel 2015 da Edizioni Piemme.
Non un semplice libro, ma il racconto di una vera e propria battaglia umanitaria per la scarcerazione di Meriam, frustata, tenuta in catene e costretta a partorire nella sua piccola cella senza alcun supporto medico. Una guerra in nome degli inviolabili diritti dell’uomo, portata avanti da Antonella Napoli in collaborazione con Amnesty International e altre associazione umanitarie.
‘ Save the Mariem’ come simbolo di speranza e lotta per il rispetto dei diritti umani nel Sudan, un paese lacerato da conflitti e battaglie interne, come spiega il portavoce di Amnesty International Riccardo Noury, scoppiati dopo la caduta della dittatura di Saddam Hussein nel 2003, che registrano ogni anno centinaia di morti e feriti da armi chimiche e migliaia di sfollati. Uno stato a prevalenza musulmana, che riconosce nella Sharia l’unica regola rispettabile,  perché ‘legge di Dio’.
Meriam è oggi libera, anche grazie all'impegno del governo italiano, in particolar modo grazie alla figura dell’allora vice ministro degli esteri Lapo Pistelli, il quale ha iniziato un'importante pressione diplomatica nei confronti del governo sudanese, permettendo a Meriam e alla sua famiglia di essere trasferita in Italia.
Durante l’incontro sono state ricordata anche la  figura di Asia Bibi, la donna pakistana cattolica condannata a morte con l’accusa di aver offeso il profeta Maometto

Elena Brozzetti